Virginia Macerelli

    Il Ricordo ...

     

Il giorno dell’orrore

21 Novembre 2010

di

Mario  Setta

Roccaraso.- Sulle stragi perpetrate durante la seconda guerra mondiale restano spesso impuniti e perfino sconosciuti i criminali. La stessa documentazione, succinta e lacunosa, è finita nel cosiddetto “armadio della vergogna” (cfr. “L’armadio della vergogna” di Franco Giustolisi, ed. Nutrimenti, Roma 2004). Ma la strage di Pietransieri, frazione di Roccaraso, resta un mistero ancora più oscuro: 128 persone, in gran parte donne e bambini, assassinati. Senza ragione. Senza responsabili. Senza mandanti. Un solo nome: la guerra.    Quel 21 novembre 1943 fu il giorno dell’orrore.

E, purtroppo, un giorno d’orrore sconosciuto alla stragrande maggioranza degli italiani. E, quel che è peggio, alla stragrande maggioranza degli abruzzesi.

Sarebbe auspicabile che, almeno nelle scuole abruzzesi, diventasse “giornata della memoria” per la conoscenza dei fatti e per la riflessione.  Studenti delle scuole superiori di Roma sono venuti qualche anno fa a visitare il Sacrario di Pietransieri e i casolari di Lìmmari, dove si era verificato l’eccidio. Anche per gli studenti delle scuole di Sulmona e della Valle Peligna, il 21 novembre 2002, fu organizzata una visita al sacrario e un incontro di riflessione al quale partecipò il presidente emerito della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro.

Sono state visite occasionali, che meriterebbero di essere istituzionalizzate.

Comunque, a Pietransieri, ogni anno la sera del 21 novembre, dalle masserie di Limmari si snoda una processione silenziosa fino al Sacrario. In silenzio, perché l’eco delle grida di quelle vittime innocenti risuona ancora per tutta la vallata.

 Di quell’orrore c’è la testimonianza di una sopravvissuta, allora bambina di sette anni, Virginia Macerelli,  raccontata e raccolta dagli studenti che hanno collaborato alla stesura del libro di ricerca storica dal titolo “E si divisero il pane  che non c’era”. Una testimonianza sconvolgente, emozionante.  (Prima di leggerla, procuratevi un fazzoletto per asciugarvi le lacrime, come è successo a tanti ragazzi). Eccola:

 

«A novembre, cominciarono a venire i tedeschi.

Dicevano che dovevamo scappare perché il paese doveva essere distrutto.

Si sono presi tutti gli uomini per la guerra, anche mio padre ed altri due miei fratelli, quelli più grandi.

Dopo, Pietransieri è stata sfollata, perché bombardavano il paese e mettevano fuoco alle case.

Siamo andati alle masserie, a Limmari. Mia madre con sei figli è andata a Limmari e siamo stati per due notti sotto un albero, con una tenda. Avevamo tutti fatto delle tende.

I tedeschi venivano, ci interrogavano, bombardavano il paese e prendevano tutti gli animali, i maiali e quello che trovavano.

Il 16 novembre per primo hanno preso mio fratello. L’ hanno portato a Pietransieri con i maiali e l’hanno ucciso. Poi hanno preso l’altro mio fratello e l’hanno ucciso in un boschetto.

Noi siamo rimasti sotto la tenda per altri cinque giorni.

Poi, il 21 novembre, sono venuti di nuovo i tedeschi dicendo che dovevano ammazzare tutti quanti… Poi venne un tedesco, era bravo, e ci disse che dovevamo scappare, perché sarebbe venuta la SS e tutti kaputt. Con la mano aveva fatto cenno: tutti kaputt. Abbiamo cominciato a scappare verso Castel di Sangro…

Dopo mezz’ ora è arrivata la SS e ci hanno raggruppati.

C’era un tronco d’albero e hanno fatto sedere la gente intorno.  Poi hanno messo una mina, grande come un vaso di fiori e l’hanno fatta saltare. Dopo che la mina era scoppiata, i tedeschi cominciarono ad uccidere i feriti con la mitragliatrice.

Io stavo sotto braccio a mamma. Ero la più piccola dei figli. Si sa che quando c’è un pericolo la madre stringe a sé tutti i figli. Io ero la più piccola e così mi ha abbracciato. Mia madre aveva uno scialle sulle spalle e come i tedeschi hanno mitragliato  è caduta ed è morta all’ istante.

Io sono caduta sotto a mamma e sono rimasta lì, lo scialle di mamma mi aveva coperto…

Tutti strillavano. La prima volta che hanno cominciato ad uccidere che urli si sentivano!

Poi è rimasto solo silenzio. Non si sentivano neanche più gli uccelli. Niente! Non si sentiva niente. Tutto il mondo era silenzio. Sono rimasta lì sotto a mamma, zitta, non parlavo. Ero piena di buchi, sono piena di buchi. Buchi che passano da parte a parte. Dopo un po’ ho cominciato a muovermi, ma ho visto che c’erano solo morti. Uno sopra l’altro, tutti morti.

Avevo alzato la testa quando ero ancora sotto a mamma ed avevo visto mio fratello che mi stava vicino. Mi ha detto: Virginia, è morta mamma? Io gli risposi di sì. Era morta sull’istante, l’avevo morta su di me. Mio fratello aveva un buco fatto con la mitragliatrice. Un buco da parte a parte che gli aveva trapassato un occhio. Poi, dopo che gli avevo risposto, abbassò la testa e morì anche lui…

I tedeschi si erano allontanati un bel po’, avevano ammazzato e se ne erano andati. Dopo un po’ però sono ritornati  per vedere se i morti erano davvero morti. Andavano con la pistola in mano, e con il piede spostavano la gente. Allora io abbassai la testa sotto lo scialle di mamma e così non mi videro. Chi invece si muoveva ancora, veniva ucciso con un colpo di pistola alla testa. Sono rimasta sotto a quei cadaveri per due giorni e due notti.

Poi, dopo tutto questo tempo, ho visto due donne di Pietransieri che venivano lì vicino. Allora le chiamai, perché le avevo riconosciute e chiesi loro se mi potevano portare via. Mi sollevarono dai morti e mi portarono vicino ad un ruscello d’acqua. Poi mi dissero: “Adesso vediamo se c’ è qualcuno della tua famiglia, così ti mandiamo a prendere. Tu aspetta qui”.  Loro non mi poterono portare via, perché ognuno cercava di  scappare  per salvarsi.

Sono rimasta vicino a quel ruscello un’altra notte, insieme ad un ragazzo che si era salvato. Questo ragazzo stava peggio di me, era ferito gravemente alle mani e poi non poteva camminare.

Quella notte, quelle due donne ci misero dentro ad una mangiatoia in una masseria, dove c’erano gli animali. Era notte tardi e vennero ancora i tedeschi. Questa volta misero fuoco alla masseria. Cadevano tutte le travi di legno del soffitto. Ci cadevano addosso grossi carboni. Dissi a quel ragazzo che si chiamava Flavio: “Se non ci hanno uccisi i tedeschi, mica dobbiamo morire abbruciati”, e così siamo saltati giù dalla mangiatoia. Poi tutti e due ci siamo rotolati per terra e siamo usciti dalla masseria. Siamo andati vicino ad un ruscello d’acqua. Stavamo tutti e due stesi per terra.

La mattina seguente, i tedeschi andavano ancora in giro con il fucile in mano. Così dissi a Flavio: “Questi abbaiano come i cani, quindi non sono italiani. Tornano un’altra volta”. Forse è stato Iddio…..Stavamo stesi per terra come morti, e come i tedeschi sono venuti ci puntavano il fucile dietro le spalle, e con il piede ci muovevano per vedere se eravamo morti.  Niente. Noi non ci siamo mossi. Né io né Flavio. Quelli dissero: “ja, ja, kaputt, kaputt” e se ne andarono.

Più tardi, sempre di mattina, arrivò mia nonna che era viva e che era stata in un’altra masseria. Quelle donne che mi avevano visto le avevano detto che stavo lì.

La sentivo strillare. Chiamava e chiamava i miei fratelli, mia sorella e mia mamma, ma sapeva che erano morti. Lo faceva con disperazione. Poi chiamava me: “Virginia, Virginia”. Era venuta con un’altra donna. Si avvicinarono ed avevano una pizza fatta con il pane. Quelli sono bambini ed avranno fame, pensavano. Ma io neanche dopo otto giorni ho potuto mangiare.  Quel ragazzo invece ha preso la pizza e l’ ha mangiata.  Mia nonna quel ragazzo non l’ha potuto portare. Era ferito peggio di me. Quando mia nonna mi prendeva sotto le gambe io strillavo, se mi prendeva sotto le braccia lo stesso.

Mia nonna diceva: “Come faccio a portarti, figuriamoci Flavio”. Poi mi prese per una spalla, dove avevo meno dolore e mi caricò su di sé. Quel ragazzo è rimasto lì, nonl ’hanno potuto portare.

Mi hanno portato in una masseria dove c’era tanta gente di Pietransieri, che si era salvata.

Quando mi videro ero un vaso di sangue. I panni mi si erano attaccati  addosso, ero senza scarpe… Non sapevano dove mettere le mani. Dicevano: “E ora come facciamo?” Non mi potevano toccare perché i panni mi si erano attaccati addosso; dopo quei giorni il sangue si era assutto addosso.  Così prepararono un caldaio d’ acqua, lo misero in una bagnarola  e mi calarono lì dentro per un bel po’. Poi una donna di Pietransieri, che ora è morta, cominciò con una forbice a tagliare piano piano i vestiti. Quando mi tolsero tutto e videro tutti quei buchi, tutte quelle ferite, strillarono loro per me.

Io ho cinque buchi,  al braccio, al petto e alle gambe. Alla fine mi lavarono tutta e con qualcosa di lino mi disinfettarono i buchi. Dopo mi avvolsero dentro un lenzuolo, senza mettermi niente addosso e  mi sistemarono in quella masseria. Acqua e sale mi hanno guarito…

Le donne che mi avevano curato andarono il giorno dopo a prendere Flavio, per salvare quell’altra anima di Dio. Così dicevano le donne di allora. Ma non era andato nessuno a prenderlo. Aveva camminato molto perché lo ritrovarono in un’altra masseria. Morto.

Dopo, da Pietransieri io, mia nonna e quella vecchietta andammo a S. Demetrio, dove siamo rimasti fino alla fine della guerra… »

 

Virginia Macerelli ha sposato nel 1956 Ettore D’Amico di Pietransieri nella chiesetta-sacrario costruita per ricordare l’eccidio perpetrato dai tedeschi. Ettore e Virginia, dopo il matrimonio,  sono emigrati per motivi di lavoro  in Inghilterra, dove sono rimasti  una ventina  d’anni. Oggi risiedono nuovamente a Pietransieri.

(Testimonianza contenuta nel libro “E si divisero il pane che non c’era”, a cura del Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona, nuova edizione a cura dell’Ass. Cult. “Il sentiero della libertà/Freedom Trail”, ed. Qualevita, Torre dei Nolfi 2010, reperibile nelle librerie di Sulmona).                                                                                                   

 

Articolo pubblicato su


La Siringa

Il Blog di Giovanni Ruscitti

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