Tommaso Ciampaglia

Racconti storici  1860-1870

In sottofondo è possibile ascoltare le note della canzone

Brigante se more   

Sono passati oltre 30 anni da  quando Angelo ricevette tramite Angiolino  un graditissimo dono: poco più di sei pagine dattiloscritte composte da Tommaso a fine inverno del 1977 a casa della figlia Luisa a Vimercate, ove aveva appena trascorso la stagione invernale.

 D'accordo con Angelo ne proponiamo il contenuto, certi che anche i visitatori del sito proveranno le medesime sensazioni che ci emozionarono nello scorrere queste righe. In esse sono tracciati con schietta e genuina semplicità momenti della vita del nostro paese ad inizio '800, pennellati sullo sfondo di miti e leggende che la tradizione popolare ha trasmesso di generazione in generazione, facendoli giungere sino a noi sulle ali dell'emotività e della caparbia determinazione nel conquistare il riscatto sociale.

Queste sensazioni permeano il racconto di Tommaso. Noi ne riportiamo integralmente il contenuto, intervenendo soltanto con rarissimi apporti di integrazione sui cognomi dei personaggi citati. Desideriamo infatti che queste righe restino impregnate dello spirito che portarono il nostro compaesano a tracciarle, desideroso di lasciarle a memoria futura, come prima di lui fecero il padre e prima ancora il nonno, da Tommaso diligentemente annotati nel paragrafo conclusivo.

A tutti loro rivolgiamo un riconoscente, affettuoso saluto :

GRAZIE CAMILLO, GRAZIE PASQUALE EUSTACHIO, GRAZIE TOMMASO.

RACCONTI STORICI  1860 – 1870

Durante l'inverno dì quell'epoca nelle giornate tristi quando il tempo era tormentato dalla bufera Emilio D'Altorio, vicino di casa, qualche giorno dopo pranzo veniva ad intrattenersi nella nostra abitazione.

Emilio domandava al mio padre, che era molto vecchio di ricordarsi tutta la storia dì quei tempi: c'era molta miseria il paese era composto di poche case e molta gente dormiva come maiali ad esempio in un solo vano dormivano a volte famiglie numerose composte anche di dieci persone, in alcuni casi il numero saliva fino alle quindici unità.

In alcune case situate al piano terra e sprovviste di camino il fuoco si accendeva in un angolo ed il fumo si faceva uscire per la porta, non c'erano nemmeno le finestre.

Durante l'inverno tutta quella gente si alimentava mangiando patate e riveglie, il minestrone si condiva con un pezzo di lardo di rancito del quale ne bastava poco perché si sentisse cattivo sapore, oppure un po’ di grasso di pecora.

Nelle case non mancavano topi, pidocchi cimici e pulci non c'erano servizi igienici ed uno dei più gravi inconvenienti era costituito dall'acqua per la quale ci si doveva recare alle fontane pubbliche che a quel tempo erano soltanto due.

In tutte le famiglie c’era un solo paio di scarpe con chiodi ragion per cui si doveva uscire uno alla volta. Per poter uscire da casa quando il tempo era discreto e la neve era gelata si usavano le ciocie con pelle di pecora.

In paese per non essere aggrediti dai briganti alla sera si chiudevano le quattro porte che permettevano l'ingresso nei rispettivi quattro angoli del paese.

Nelle case dei signori invece c'erano i feritoi che corrispondono ai portoni usati anch'essi per difendersi dai briganti. Causa  la cattiva alimentazione e l'insufficienza igienica molti erano i bambini che morivano.

Mio padre raccontava che nel 1860 quando lui aveva ancora sedici anni la popolazione non aveva iniziato a migrare verso territori lontani si viveva di quel po’ che si produceva, molti infatti avevano nelle case un telaio con il quale si tessevano panni di lana e di lino mediante la vendita dei quali si riusciva a guadagnare il denaro a volte insufficiente per comperarsi il sale che era necessario.

Le povere donne madri di famiglia durante l'estate si recavano a fare le ciociare per sfamare i loro figli, la mattina, di buon ora si recavano anche nel bosco per fare un fascio di ceppi. Quando ritornavano tutte sudate ed affaticate avendo lasciato i loro piccoli a letto dovevano allattarli ma il latte riscaldato dal loro trapazzo faceva ammalare i loro piccoli. L'ignoranza spingeva le donne a credere che quel male fosse dovuto alle streghe alle quali si credeva molto, si recavano quindi da qualche falso fattucchiere il quale non faceva altro che derubare dei  propri soldi quella povera gente, intanto però il bambino moriva e quella povera donna diventava mal vista da tutti ed etichettata come una strega.

 Come si può vedere quindi l'ignoranza dilagava e l'analfabetismo raggiungeva il novanta per cento. Questo non veniva raccontato da una sola persona ma lo raccontava anche un altro uomo soprannominato Marianuccio che era un tipo molto grande, una guardia di finanza nato nel 1840.

E continuamente tutto ciò che era successo in quell'epoca io ero ragazzo, avevo quattordici o quindici anni ma molte cose mi sono rimaste impresse e le sto scrivendo mentre mi trovo nella casa di mia figlia Luisa a Vimercato (n.d.r. Vimercate) provincia di Milano data 15 marzo I977 la mia età é di 69 anni nato il 1908 a Rivisondoli, scrivo per passare il tempo.

Il racconto continua sempre dal 1860 a1 I870. I1 regno delle due Sicilie cioè Sicilia Calabria Lucania Puglie ed Abruzzo era stato posseduto da Re Francesco II di Borbone di Spagna. Quando arrivò per la prima volta nelle Puglie con le sue carrozze ed il seguito che lo accompagnava vide tutti i campi abbandonati,   Si rese subito conto che tutta quella terra poteva essere come pascolo ed avrebbe costituito, una grande risorsa per il popolo, ma la gente non poteva svolgere questo lavoro per alcune ragioni: erano quasi tutti malati avevano la febbre di malaria ed altre malattie bevevano infatti acqua di pozzi piena di insetti non vivevano oltre i quaranta anni quindi nei paesi c'era pochissima gente. Quando il Re é arrivato in Abruzzo ha visto la gente che malgrado le miserie era in salute disse quindi che la gente d'Abruzzo era forte e gentile avrebbe potuto recarsi nelle Puglie ed a loro avrebbe provveduto nell'assegnazione delle terre.

Fu così che i signori sindaci di questi paesi si recarono in solitudine nelle Puglie per l'assegnazione delle terre senza rendere nota la notizia ad alcun cittadino di buona volontà che avrebbe voluto anch'egli essere proprietario di terre.

Dopo avere assegnato la terra il Re provvedette ad importare centinaia di pecore dalla Spagna regalandole a questi signori alla sola condizione di non ammazzare le agnelle femmine e di consegnare gli agnelli maschi al governo. La terra fu assegnata ai signori amministratori di Rivisondoli famiglia Caniglia Mascio e Gasbarro; a Roccaraso famiglia Agelone (n.d.r. Angeloni) a Pescocostanzo Decapite, a Roccapia De Neis a Scanno Rienzi e ad altri proprietari che io non conosco e che sono sempre nella nostra zona d'Abruzzo.

Dopo pochi anni il loro gregge cresceva rapidamente, acquistarono quindi un piccolo numero di vacche e come guadagnavano soldi comperavano cavalli ed altri animali. Col passare del tempo le loro masserie si ingrandivano e poiché a quell'epoca mancava totalmente il fenomeno dell'emigrazione tutti gli uomini ed i ragazzi si dedicavano a fare i pastori.

Durante 1’inverno si recavano nelle puglie e l'estate in Abruzzo. I1 padrone dava ai pastori ogni mese cinque lire un chilo di pane al giorno sale ed un litro d’olio. Durante l'inverno mentre il pastore stava nelle Puglie metteva il pane in un piatto di legna aggiungeva poi acqua bollente sopra il pane che si copriva con poche goccie d'olio poiché doveva fare economia tanto dell'olio che del pane perché doveva pensare alla famiglia che viveva nella miseria. Oltre a ciò il pastore poteva disporre di un manto di lana ogni anno e di una formetta di formaggio che pesava tre o quattro chili. Ai ragazzi di età inferiore ai dieci anni non gli si dava nulla dovevano quindi mangíare con il padre, oltre i dieci anni invece potevano usufruire di metà razione senza però il denaro. Se un giovanotto di oltre vent'anni non era pastore responsabile del gregge che lo precedeva veniva rifiutato dalle donne che non lo sposavano perché era un pecoraio irresponsabile e veniva classificato come un ragazzo anche se aveva trent'anni.

Queste poche famiglie si dichiaravano nobili ma erano le più disoneste del paese perché con il loro modo di agire molto prepotente abusavano della povera gente.  Quanto sposava una giovinetta la prima notte era costretta a stare con questi malvagi e poiché nelle famiglie sposava solo il primo figlio gli altri rimanevano senza sposare.

In ogni famiglia c'era un prete. Durante la permanenza dei mariti nelle Puglie al servizio dei padroni questi mandavano a chiamare dalle loro serve

Immagine  ricavata da un libro stampato in Germania nel 1932, ed anch'essa riproducente il riposo della Portella lungo il tratturo, in località Quarto del Pozzo, ad inizio '900, sul Piano delle Cinquemiglia.

le mogli dei pastori per farle venire nei loro palazzi costringendole a non rifiutarsi altrimenti licenziavano i loro mariti, quindi le possedevano mettendole anche incinte.

Molti anni prima del '60 in una Primavera tornarono i pastori dalle Puglie ed una quindicina di loro trovarono le mogli incinte ma poveri uomini non avevano il coraggio di poter agire contro i padroni, C’era troppe miseria ma un giorno tuttavia si riunirono in una cantina e fecero una sbicchierata di vino decisero quindi di vendicarsi contro i signori che avevano abusato delle loro mogli si recarono quindi sotto i palazzi di questi cominciando a tirare sassi con le fionde mandando in frantumi tutte le finestre. La mattina dopo le spie raccontarono ai loro padroni tutti i nomi di coloro che avevano preso parte al reato.

I1 sindaco di quell'epoca che aveva ogni potere si recò dalle guardie di Gendarmeria che facevano servizio sulla collina di Portella in una scuderia di cavalli. I1 sindaco raccontò gli episodi che erano accaduti nel suo palazzo, lui stesso ordinò la fucilazione e per ordine del sindaco furono catturati tredici uomini e due donne i quali si ribellarono anche loro quindi furono tutti incatenati e destinati ad essere fucilati vicino al cimitero di Roccaraso. Quando arrivarono tutti con le catene alle mano a Roccaraso insieme al plotone d'esecuzione e ad un ufficiale che li comandava incontrarono la signora Teresina oriunda di Rivisondoli moglie dell'onorevole Ageloni (n.d.r. Angeloni) deputato al governo gli domandò che cosa avessero fatto, un ufficiale rispose che essi avevano reagito contro il capo del paese sfasciando tutte le finestre a lui ad altri amministratori del comune ed il sindaco li aveva condannati alla fucilazione. Quella gente che doveva essere fucilata entro pochi minuti disse che essi avevano reagito in quel modo per 1'umiliazione che avevano dovuto sopportare quando erano nelle Puglie durante il periodo invernale. Sentite  le giustificazioni la signora Agelone (n.d.r. Angeloni) ed il comandante non fecero altro che sciogliere le catene e mettere in libertà tutta quella povera gente. La signora da nobil donna qual'era si assunse tutta la responsabilità perché secondo il suo parere quei signori non dovevano esistere più e quelle terra dovevano appartenere anche ai piccoli contadini.


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i Racconti  

In una primavera della quale non mi ricordo l'anno mentre un giovane di oltre vent'anni guardava le pecore sulla montagna di Scanno Chiarana (n.d.r. Chiarano) passò un gruppo di briganti e si mise a parlare con lui e, come raccontò quel povero sventurato, con i briganti non si parlò di affari che riguardavano il suo Padrone, tuttavia mentre stavano discorrendo furono visti dal padrone e dal massaro.

Il giorno dopo il padrone fece impiccare il pastore su un grosso albero di olmo in mezzo alla piazza di Rivisondoli dove rimase per parecchi giorni. Il padrone giustificò malamente il fatto sostenendo che il pastore stava facendo la spia ai briganti.

Quello  infatti era il periodo in cui

 

Il maestoso olmo che campeggiava accanto alla chiesa di Santa Maria dell'Ospedale, nota anche come Santa Maria della Fonte. Entrambi, l'albero e la chiesa, sono citati nel racconto di Tommaso.

il sindaco aveva la libertà di decidere sull'uccisione  delle persone a lui non

gradite avendone un qualsiasi sospetto: era la legge del Re Borbonico. La povera mamma della famiglia Tanchitto non passava più nella piazza e non andava più a messa poiché la Chiesa si trovava di fronte all'albero sul quale era stato impiccato suo figlio. Si sacrificava ad andare a Pescocostanzo per la strada del Frontone (scorciatoia). Mandò una maledizione alla, famiglia Gasbarro la quale si sarebbe dovuta distruggere come una candela e nel suo palazzo sarebbe dovuto nascere il sambuco. Una vera tragedia colpì la Famiglia Gàsbarri che aveva impiccato il povero innocente.Infatti l'anno dopo ed era il mese di Giugno tutta la loro  masseria compresi i loro possedimenti furono distrutti dal passaggio dei brigantí e nella  capanna  dove erano i loro greggi (sempre nelle montagna di Chiarano)lasciarono un bambino sui sette anni dicendo che avrebbero dovuto trattarlo bene custodendolo: e dandogli da mangiare poiché loro sarebbero ripassati dopo otto-dieci giorni ricompensando tutto il loro disturbo dovuto al ragazzo. I1 ragazzo era stato rapito a scopo di lucro nelle vicinanze di Napoli ma i signori padroni che usavano come già accennato prepotenze nei confronti del popolo di Rivisondoli presero il ragazzo e lo uccisero seppellendolo poca distanza dalla capanna ma molto profondamente per evitare che fosse scovato dai cani.

Ma dopo nove giorni di assenza ritornarono i briganti per riprendere il ragazzo per riportarlo alla sua famiglia che aveva pagato il riscatto, ma il bambino non c'era il massaro gli disse che era scappato e che non era più stato ritrovato al che il capo della banda diede ordine di accerchiare tutta la masseria era di mattina e non tutti gli animali erano andati al pascolo. Nelle vicinanze c'era un piccolo pastore che fu leggermente allontanato dalla capanna ed al quale il capo dei briganti disse che se non gli avesse riferito dove era il bambino gli avrebbero tagliate le mani con una sciabola. A questo punto il ragazzo si mise a piangere e li accompagnò luogo approssimativo nel quale era stato seppellito il fanciullo. In poco tempo i briganti distrussero tutti, erano circa ottanta e completamente armati con fucili e sciabole. Il capo ed il massaro mentre si stava facendo il formaggio furono calati a testa in giù nel siero bollente intanto il massacro continuava, furono uccisi tutti i pastori ed i vecchi; l’unico che fu risparmiato fu, il ragazzo che aveva detto loro la verità. Furono ammazzate circa quattromila pecore, centocinquanta vacche, cento dieci cavalle, muli, capre, asini, ed altri cinquanta pastori. Si salvò un solo pastore di Scanno che era andato a sposare ma al suo posto ci rimise la vita un uomo di Riccapía (n.d.r. Roccapia). Anche le maledizioni della mamma dell’uomo impiccato dopo un anno si avverarono nel palazzo del ricco padrone stava infatti crescendo il sambuco.

 Emilio Raccontava che nei tempi antichi la povera gente veniva ingannata dai preti che gli dicevano che se volevano andare in paradiso dovevano dare i loro beni ai santi, e così facevano. Poi i preti vendettero intestandosi a proprio nome questi beni diventando così anche loro proprietari di terreni.

Intanto le famiglie dei signori stavano decadendo, i figli dei proprietari non si sposavano, i più si erano avviziati alle prostitute e al gioco andando verso il fallimento. Cominciarono a vendere le loro proprietà ai cittadini che agli inizi del 1900 cominciarono ad emigrare verso gli Stati Uniti nonostante il guadagno fosse piuttosto limitato (un dollaro al giorno senza cambio di valuta). Furono proprio alcuni tra questi cittadini che comperarono le proprietà a questi signori falliti, Tra queste famiglie uno degli esempi più lampanti é costituito dalla famiglia Mascio che era molto ricca. Un suo erede quan­do era giovane (Aniceto Mascio) usciva con una carrozza trainata da coppie di cavalli con finimenti guarniti d'argento. Durante 1a sua vecchiaia invece il comune doveva dargli un sussidio per poter vivere, fu aiutato dal sindaco che era un suo parente (Giuseppe Mascio) altrimenti per sopravvivere sarebbe stato costretto all’elemosina.

Mio padre raccontava che loro in famiglia stavano discretamente non erano ricchi ma nemmeno poveri. Mia nonna che io non ho conosciuto é morta nel secolo scorso si chiamava Mariantonia, discendente della famiglia De Capite, i suoi genitori possedevano nelle Puglie terre e greggi quando si sposò i suoi genitori gli diedero una discreta dote comperandogli una discreta casa ed una stalla il tutto dato quindi come dote alla ricca famiglia dei Ferrara. Mio nonno di mestiere faceva il fabbro, per parecchi anni servì il governo dei Borboni come maniscalco nelle vicinanze del paese vicino la chiesa della Portella dove c'erano delle scuderie piene di cavalli nelle quali facevano servizio i soldati d'artiglieria impegnati nella salvaguardia della strada e dei tre paesi vicini (Rivisondoli Roccaraso e Pescocostanzo ) dal brigantaggio.

I briganti erano uomini molto risentiti che non sopportavano 1'ingiustizia del governo e dei ricchi che abusavano della povera gente sotto tutti i punti di vista come già raccontato. Molti di essi erano anche disertori. Due dei briganti erano di Roccaraso ( Crocitta [Crocitto] e Tamburrino ), uno era di Campo di Giove (Damiano) che facevano da capi e molti altri erano di tutto il circondario anche del Molise delle Puglie, e della Calabria.

In questi periodi i briganti facevano molto per la popolazione, quando incontravano un pover'uomo o donna gli davano qualche moneta ed anche pezzi di carne di pecora raccomandando di tenere segreto l'incontro.

 Dopo il  1870 quando ci fu l'Unità d’Italia il re Vittorio Emanuele II con tutto il suo esercito costrinse i briganti ad arrendersi ma i briganti ormai non avevano più scopo a sacrificarsi vivendo nel boschi anche se dovettero farsi molti anni di galera per i numerosi omicidi furti e rapine sempre peraltro a danno di gente ricca.

Tuttavia in quel periodo si doveva fare anche il militare e molti giovani si rifiutavano erano quindi costretti a darsi alla macchia al brigantaggio altrimenti venivano fucilati come disertori.

I1 mio racconto mi fu narrato da mio padre (nato nel 1844) e molte altre cose erano state a lui raccontate da suo padre (nato nel 1802) il tutto riassunto dal sottoscritto (1908). Mio nonno si chiamava Ciampaglia Camillo, Mio padre Ciampaglia Pasquale Eustachio e il sottoscritto:

 

                                                                                          Ciampaglia Tommaso

 

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