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Siamo altresì riconoscenti a don Renato, parroco di Roccaraso, che ha concesso la pubblicazione del passo che segue, estratto dal volumetto da lui scritto, con gesto di gratitudine verso i propri genitori. Il capitolo della trebbiatura a pag. 35 de "TRACCE DELLA NOSTRA TERRA - Le fatiche dei miei genitori" recensito in Bibliografia, riesce con straordinaria efficacia a rendere con parole semplici, l'atmosfera che si viveva sull'Ara, e l'importanza che questa fase della lavorazione del grano rivestiva nel contesto delle origini contadine di tutti noi. Il sorriso della ragazza in primo piano, ripresa sull'ara di Pietransieri, illumina tutta la scena di una luce di campestre tranquillità, quasi a stemperare la dura fatica da sopportare, accompagnata dal cicaleccio delle comari in secondo piano, quale dolce contrappunto allo sferragliare dei macchinari in azione. |
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Trebbiatura | ||
I covoni raccolti sulle aie erano la ricchezza e il capitale della contadino, che per paura di eventuali incendi o temporali, aspettava con trepidazione e con ansia l'arrivo della trebbia. Ogni anno sulle aie giungevano quattro trebbie. Venivano, quasi tutte, dalla valle Peligna. Io ricordo il nome di alcuni proprietari di trebbia: Ernesto e Feliciano di Introdacqua, Leo Buono di Rivisondoli e, in particolare, Luca ("Mastre Luca") di Pettorano sul Gizio. Luca era il padre di un carissimo confratello, don Antonio Agapite, attualmente Parroco a Roccaraso. Il complesso trebbiante di Agapite Luca era composto da: 1. un trattore "Bubba", semi-diesel, a testa calda, della potenza di 25 HP, del 1928, munito di un puleggia su cui si avvolgeva una larga cinghia atta a trasmettere il moto a tutto il complesso, nonché di un volano d'inerzia utilizzato anche per l'avviamento del trattore, che disponeva di due marce (prima e seconda) e poteva raggiungere la velocità massima di 5 km/h. Ai lati della grande cinghia veniva disposta una rete di protezione. 2. una trebbiatrice, anch'essa "Bubba" . L'organo principale era il "battitore" , sul cui asse erano disposte alcune pulegge necessarie al funzionamento: - dello "scuotipaglia" (mediante un albero a camme); - del "trincia" e "scuotipaglia"; - del "brillatore" (serviva a liberare il grano dalla pula, che un potente ventlatore depositava sotto la trebbiatrice. In seguito fu applicato un tubo che la trasportava e la ammucchiava più lontano); - di un "cilindro cernitore" (selezionava il grano che, attraverso alcune bocchette, era convogliato in capienti sacchi). All'inizio i covoni, da terra, mediante una forca, dovevano essere gettati a mano sulla trebbia. Trebbie più moderne disponevano di uno speciale elevatore che, mediante un nastro trasportatore, faceva giungere i covoni di grano fino all'imbocco del battitore. La parte superiore della trebbia era transennata per garantire la sicurezza agli operatori 3. una pressa. Provvedeva a compattare la paglia e consentiva di confezionarla, con appositi fili di ferro, in balle facilmente trasportabili. In un primo tempo, per molti anni, la trebbiatura del grano era effettuata a "paglia sciolta", che, con l'impiego di molti operai, era depositata ed ammucchiata in alcuni spazi dell'aia, per essere poi utilizzata, insieme al fieno, come cibo per gli animali. L'avvento della "pressa" costituì una vera e propria rivoluzione. A rendere inconfondibili ii macchinari di Luca Agapite era la seguente scritta, che campeggiava lungo la transenna anteriore della trebbia: "Labor fata vincit - Cuor risoluto non vuole consigli" AGAPITE LUCA E FIGLI. Il lavoro della trebbiatura richiedeva grande impegno da parte di tutti. Gli operatori e i macchinisti preparavano il terreno e facevano grandi sforzi per allineare i mezzi (trattore, trebbia e pressa). Osservando le loro fatiche, era spontaneo apprezzare la disponibilità al sacrificio, l'orgoglio e la tenacia di chi aveva scelto un lavoro duro, difficile, spesso rischioso, nella consapevolezza, però, di assicurare un servizio di vitale importanza per tutta la società. Intorno alla trebbia c'era un'attività frenetica e un grande movimento di persone: le famiglie si aiutavano a vicenda e si prestavano anche i sacchi da riempire di grano. Assordante e caratteristico era il rumore delle apparecchiature e dai macchinari si sollevava un'abbondante polvere. Le donne avvicinavano i covoni alla "canale" (l'elevatore a nastro), e gli uomini afferravano le balle dietro la pressa e le accatastavano sull'aia, altri uomini robusti prendevano dalle bocchette i sacchi pieni di frumento, li legavano e li ammassavano per trasportarli e conservarli nel fondaco. Noi ragazzi andavamo correndo tra le "filarelle" e le "manecchiare", partecipando così alla gioia e alla festa della trebbiatura. La famiglia che trebbiava, felice e grata al Signore per il raccolto ottenuto, offriva da mangiare e da bere a tutti i lavoratori. Quei sacchi colmi di chicchi di grano erano, comme già detto, il patrimonio e la ricchezza del contadino: valevano altrettanto "grani d'oro" che ripagavano i sacrifici di un anno di duro lavoro. Il grano era la vita delle famiglie: farina,pasta e pane per tutti i giorni dell'anno. |
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don Renato d'Amico |
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L'avvento delle macchine per la trebbiatura determinò nelle nostre zone la fine dell'attività che vediamo mirabilmente rappresentata nelle immagini che seguono. Esse risalgono ai primissimi anni del Novecento, e ritraggono i contadini intenti alla trebbiatura sull' "ara" di Roccaraso, tramite l'usanza arcaica delle "trita" cioè del calpestio continuo delle spighe di grano da parte di cavalli, buoi e persone. "Ri menuecchie" venivano liberati dal legaccio e disposti in circolo per essere calpestati dagli zoccoli degli animali, e rimestati continuamente dagli uomini che utilizzavano forconi in legno. Nelle foto sono chiaramente distinguibili entrambe le attività, ed in quella sulla destra, in primo piano risalta un rastrellone, anch'esso in legno, utilizzato per ricomporre il tracciato dopo il passaggio continuo degli animali. |
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Seppure al momento non disponiamo di immagini riconducibili a Rivisondoli relative all'utilizzo di questa tecnica primitiva, proponiamo volentieri le foto riprese nel paese a noi molto vicino, non solo dal punto di vista geografico, proprio per rimarcare l'identità socio/culturale che da sempre accomuna tutti i paesi degli Altipiani Maggiori d'Abruzzo. Le "are" di questi paesi hanno rappresentato per secoli quasi un luogo sacro per questa lunghissima operazione, e naturalmente venivano situate in siti possibilmente ventosi, proprio per servirsi anche della forza del vento quale aiuto complementare alla fatica dell'uomo per la separazione, il più completa possibile, dei chicchi di grano dalla "cama". Le macchine affrancarono i contadini delle nostre zone da questo faticoso ed ingrato lavoro, a partire dai primi decenni del '900. A testimonianza di ciò resta il Prontuario dell'Agricoltore, |
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che nel 1936 effettuava una comparazione tra la trebbiatura "a piede di cavallo", e l'attività meccanica necessarie alla produzione di ca. 80 |
quintali di grano: 130 ore di cavallo e 400 d'uomo, contro una giornata lavorativa di 12 operai, 2 imboccatori, 1 fuochista ed 1 macchinista (macchina a vapore). Attività accessoria alla trebbiatura era quella indispensabile della "scamatura" che veniva realizzata rimuovendo in continuazione le spighe del grano dopo che erano state calpestate dalle bestie, e giovandosi della forza del vento per disperdere le parti più leggere. Lavoro tutt'altro che piacevole, oltre che per la fatica, anche e soprattutto per l'arsura determinata dai raggi del sole d'alta quota, inclemente sia per la stagione che per la trasparenza dell'aria. Quest'ultima poi, nelle immediate vicinanza della zona di battitura, come individuabile nell'ultima foto sotto, era caratterizzata da nuvole di polvere e pula che seccavano la gola e si appiccicavano sulla pelle sudata, penetrando impietosi sotto i vestiti. L'immagine mostra proprio un dettaglio di tale attività, realizzata su una delle tante "are" realizzate nel territorio di Castel di Sangro |
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(Foto tratta dal volume Immagini di Storia - Castel di Sangro [M. Di Desiderio - A. Caruso 2007], apprezzato dono dell'amico fraterno Don Eustachio Schiappa). |
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Tutte le foto che abbiamo sin qui proposto all'attenzione dei navigatori sono ricche di un fascino irripetibile e, pur appartenendo ad un mondo contadino d'appena pochi decenni addietro, non identificano più la realtà socio-economica prevalente delle nostre zone. Immagini preziose per la unicità che rappresentano, poiché all'epoca la fotografia non aveva certo la diffusione odierna, e le immagini del mondo contadino rappresentavano poco più di una semplice curiosità, da contrapporre al mito della società in evoluzione, sulla scia di uno stereotipato mondo industriale. Ed ecco che l'immagine che segue ha quasi il sapore di un quadro allegorico, con i buoi impegnati nella "trita", affiancati da un mulo macilento. I bambini ritratti in primo piano sembrano quasi messi lì ad arte, per evidenziare i costumi contadini dell'epoca. Eppure non si tratta di un quadro del Michetti !! La foto, perchè di una foto si tratta, è stata ripresa nel territorio di Palena a fine '800 dal pittore Oreste Recchione, ed apparve assieme ad altre rarissime immagini, nell'articolo "ORE D'ABRUZZO", che Ettore |
Margadonna scrisse sulla rivista "IL SECOLO XX" Anno 30° - n. 30, del 18 settembre 1931. I due bambini, entrambi a piedi nudi e nel tipico abbigliamento distintivo dei sessi nel mondo contadino, sono stati ripresi durante una breve pausa dell'estenuante lavoro al quale partecipavano sin dai primi anni di vita. Nella sequenza fotografica che segue abbiamo poi raggruppato le immagini riferite alle prime trebbie meccanizzate, azionate da macchine a vapore, tratte sempre dai volumi menzionati nei paragrafi precedenti. Sequenza che abbiamo integrato con macchinari di periodi più recenti, e che svolsero la medesima attività a Rivisondoli, e nel territorio degli Altipiani Maggiori d'Abruzzo. Immagini tutte che si ricollegano a quella d'apertura, quasi a cingere in una salda corona protettiva ricordi, emozioni, fascino ed atmosfere vissute da alcuni di noi, e che con rimpianto nostalgico desideriamo portare all'attenzione delle nuove generazioni, per rinsaldare in esse la consapevolezza delle proprie radici contadine. |
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COPYRIGHT. rivisondoliantiqua.it. |
Collaboratori d'edizione: Rita D'A. ( Rivisondoli ); don Renato D'A.. ( Rocca Cinquemiglia ); don Eustachio S. ( Rocca Pia ); Stefania T. & Emanuele M . ( Sulmona ); Chiara & Adriana G. ( Roma ). |