..Canonico Don Ugo Di Donato

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don Ugo Di Donato



Don Ugo Di Donato nasce a Rivisondoli il 27/7/1921 in una famiglia di contadini, caratterizzata da un profondo senso religioso.

E' il primo di cinque figli, che si susseguono in un arco di venti anni.

Frequenta la Scuola Elementare nella natia Rivisondoli e si dimostra subito alunno modello, particolarmente interessato allo studio, che considera un dovere piacevole.

Terminata la scuola dell'obbligo, manifesta ai propri genitori, Giuseppe ed Ida, le sue intenzioni di vita: diventare prete e proseguire gli studi. Non è facile accontentarlo per le ristrettezze economiche della famiglia con il papà, che, emigrato negli U.S.A., fa la spola tra le due sponde dell'Atlantico per amore della famiglia e nostalgia del paese.

Gli occhi imploranti del piccolo Ugo vincono le ultime perplessità dei genitori ed il giovanissimo figlio è accontentato, viene accolto nel Seminario Diocesano di Sulmona, dove frequenta e conclude con esito brillante le classi del Ginnasio.

Testimonianza della serietà della sua preparazione scolastica una preghiera in forma di poesia, scritta il 9-10-1936, in onore della Madonna ed intitolata "Mater Amabilis" , che sarà, in seguito, proposta.

Successivamente si trasferisce presso il Pontificio Seminario Regionale di Chieti dove frequenta i corsi liceali e teologici con due interruzioni significative e meritevoli di citazione.

La prima dall'Ottobre 1941 all'estate 1942, quando, poco più che ventenne, è "comandato", per meriti culturali, quale insegnante di Italiano e Latino presso il Seminario Diocesano di Sulmona;

Don Ugo Docente di Italiano e Latino

presso il Seminario Diocesano di Sulmona (1942)

la seconda tra l'Ottobre del 1943 e l'Ottobre del 1944, per motivi bellici: sfollato a Scanno prima e tra le macerie di Rivisondoli dopo.

Il cuore e la mente, però, restano fissi al traguardo: il sacerdozio e gli studi.

Rientrato nel Seminario Regionale di Chieti nell'Ottobre del 1944, Don Ugo completa gli studi teologici e viene ordinato Sacerdote a Sulmona dal Vescovo, Mons. Luciano Marcante il 17-3-45.

La prima Messa solenne a Rivisondoli il 19-3-1945, festa di S. Giuseppe, nella Chiesa dell'Immacolata, essendo la Parrocchiale ancora gravemente danneggiata dagli eventi bellici, che avevano sconvolto l'Alto Sangro e la zona degli Altipiani Maggiori.

Subito dopo Don Ugo è nominato Amministratore delle parrocchie di Roccaraso e di Pietransieri, che raggiunge a piedi (non vi sono altri mezzi di locomozione in zona, in quel periodo) quasi quotidianamente per l'esercizio

del suo ministero sacerdotale.

Nell'autunno del '45 è nominato parroco di

Le macerie della Chiesa Madre, priva per sempre del suo settecentesco campanile.

Da foto A. Gentile - C. di Sangro - Prop. art. riservata A.V.Romito

Roccacinquemiglia, che raggiunge la domenica a bordo di un carretto, guidato da papà, che ha avuto in dono dallo Stato, come altri, un mulo ex militare. Nella parrocchia assegnata, pesantemente devastata dalla guerra, si sta ricavando un alloggio per il parroco nei locali della sacrestia della chiesa principale semidistrutta. Nella primavera del 1946 Don Ugo si trasferisce a Roccacinquemiglia in compagnia del fratello minore, Emidio, allora tredicenne, e che oggi redige questa scheda. Il giovane sacerdote inizia subito una attività pastorale a tutto campo, rendendo funzionale la Chiesa di S. Rocco, che, fortunatamente, non aveva subito danni, recuperando in parte l'archivio parrocchiale, "riaggiustando" un messale per la celebrazione della S. Messa. Mancano, però, paramenti liturgici decorosi.  Don Ugo scrive direttamente al Papa, Pio XII, implorando aiuto in tal senso. Dopo un mese la Parrocchia ha pianete e camici nuovi fiammanti. Gioia commossa della comunità locale. La Chiesa di S. Rocco e la casa parrocchiale diventano il cuore pulsante della comunità anche sul piano civile. Si impostano e si consegnano le prime pratiche di ricostruzione, si amplia il ventaglio delle attività sociali, animate e vivificate dal giovane parroco, che fonda una cooperativa, punto di vendita di prodotti alimentari.

Il sacerdote ne è presidente e contabile. L'iniziativa ottiene successo ed il plauso della collettività. La parrocchia riunisce, affratella, ripropone valori ed ideali umani e civili, offuscati in maniera brutale dalla guerra, che aveva anche indurito i cuori.

Questo è Don Ugo sacerdote. Chi queste cose oggi le scrive, allora c'era e le ha viste.

Nell'autunno del 1952 Don Ugo, per esigenze personali, riconosciute valide ed accettate dal Vescovo, Mons. Luciano Marcante, lascia la Parrocchia di Roccacinquemiglia e torna a Rivisondoli, sostituendo il Parroco, Don Antonio Pintori, impegnato negli Stati Uniti, in visita alle comunità di Rivisondolesi, ivi emigrati.

Nell'estate del 1953 Don Ugo riceve l'invito di Mons. Tito Mancini, già parroco di Roccaraso, ed, intanto, divenuto Vescovo, a trasferirsi a Roma. Il Presule aveva conosciuto Don Ugo da seminarista ed aveva preso a benvolere il giovane, apprezzandone le doti di mente e di cuore. Si ravviva, così, un'antica amicizia, basata sulla simpatia e sulla stima.

Don Ugo, chiesta ed ottenuta licenza dal Vescovo Mons. Marcante, raggiunge Roma, in qualità di Vice nella Parrocchia di S. Pancrazio alla Farnesina.

Incitato, poi, da Mons. Mancini il giovane sacerdote scrive e pubblica nel Settembre del 1953 :

"Il Sole sui libri" con sottotitolo: per studenti,

per la Collana "Ideali" della Pia Società S. Paolo.

Il volume viene apprezzato in maniera particolare dal Cardinale Eugenio Tisserant.

Il porporato, allora Decano del Collegio Cardinalizio, sottolinea più volte la propria stima e la propria simpatia per Don Ugo.

Del volume, in breve esaurito, si propone un capitolo, il primo, che è, in sostanza, una presentazione del libro e porta un titolo originale: I sette P.

Sorge l'Angelo di Dio e gli incide sulla fronte sette P con la punta della spada. Sono il simbolo dei sette peccati capitali, che tengono l'uomo attaccato alle cose terrene e gli fanno dimenticare la "Città immortale". Il poeta si inoltra per le vie del Purgatorio, con la fronte grave dei segni sanguinosi, E allora avviene la purificazione mirabile. Ad ogni girone un angelo vestito di bianco e con la faccia balenanti raggi, gli batte sulla fronte le ali, e, ad ogni battito, un P è annullato. Che gioia e che leggerezza, allora, nell'ascesa! Verso Beatrice, verso il centro dell'Universo, verso Dio!.

Non val la pena, adesso, camminare, osservare i tormenti, salire sempre di più? Dice l'angelo bianco e raggiante a Dante:

" Quando ti saranno scomparsi tutti i P

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   fien li tuoi piè dal buon voler sì vinti che pur non fatica sentiranno ma fia diletto loro esser su pinti"

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Capisci, giovane amico? La vita è così bella, e così santo l'avvenire, che non puoi rimaner confuso con la moltitudine amorfa e stupida. Ti devi distinguere, ti devi ritrovare, devi prendere tutto il bagaglio delle tue cose inutili e pesanti e gettarle via, senza rimpianto.

Sai i grandi transatlantici? Ormeggiati agli enormi piloni del porto, vengono tenuti fermi da cavi colossali. Galleggiano dolcemente, splendidi di lucentezza e formidabili di potenza. Hanno qualcosa di sicuro e tranquillo, che comunica serenità e forza. Intorno sono i palazzi e i magazzini del porto che si specchiano nell'acqua; si muovono le macchie di olio e i rifiuti della metropoli che si versano nel mare purifica-

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tore. Poi vengono riscaldate le caldaie del piroscafo per ore ed ore, finché giungono "sotto pressione" .

Il primo urlo della sirena di bordo, Il secondo urlo. Vengono ritirate le ancore e sciolti i canapi dai pilastri. E' grande il piroscafo: una città che ondeggia sull'acqua. La notte, con tutti gli oblò illuminati e i riflettori sui ponti, sembra un sogno che navighi sul respiro sommesso delle onde. Pur così grande ha bisogno dei rimorchiatori per girarsi, per prendere il largo.  Quando i rimorchiatori hanno compiuto la manovra, allora il terzo urlo pauroso stacca la nave dai pontili e dalla riva, e si muove. Sembra che faccia fatica, che non voglia spostarsi dalla quiete e dall'acqua alta e grassa del molo. Sono istanti. deve essere trascinata, e ruggiscono nello sforzo i rimorchiatori, cacciando colonne di fumo nero. Poi, è la libertà sconfinata del mare aperto, la fragranza aspra delle

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ondate, la scia di spuma bianchissima, con le stelle lontane e tuffate a cerchio nel mare, le onde che sembrano cupe tanto sono azzurre, e la luce del cielo intrisa nel mare, e il mare impastato di sole, e l'orizzonte senza confini, che fa male agli occhi.

Ecco, io voglio essere per te il marinaio attento che scioglie gli ormeggi: il rimorchiatore che ti avvii alla libertà; l'angelo che cancelli a te, con rapidi colpi di ala, i P dalla fronte, e ti spinga in alto, e ti segni, sulla vergogna scomparsa, altri P che ti rendano la vita bella e degna di essere vissuta.

Maestro? Ma i maestri sono tutti scoccianti, con la oro aria di protezione e di saggezza fredda. Amico voglio essere. Nemmeno fratello. Per il fratello si possono conservare i segreti, non per l'amico.

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Ascoltami come un amico, e sappi sopportare la pochezza mia, e compatirla, per l'amore che, tremando mi ha dettato ogni parola.

 

PARTE PRIMA

La vittoria più bella

                              "Conquista te stesso

                                         e il tuo ambiente"

 

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gli Indimenticanili   

Successivamente, alla fine del 1954, il Vescovo Marcante richiama in Diocesi Don Ugo, non volendo privare la Chiesa locale di un elemento così valido e lo invia a Popoli quale aiuto di Mons. Giuseppe D'Achille, che regge la parrocchia più popolosa della Diocesi di Valva e Sulmona.

Don Ugo ubbidisce e il 5 gennaio del 1955 raggiunge la nuova sede, in cui esplicare la sua missione sacerdotale e si pone subito all'opera, operaio solerte, come sempre, nella vigna del Signore.

In questa cittadina rimarrà sino alla fine della sua esistenza terrena.

La preghiera, lo studio e il sapere sono il costante amore di Don Ugo durante tutta la sua vita.

Schivo e riservato, non ricerca mai la "visibilità" carrieristica, ne' il plauso, teso, invece, sempre, come impegno di vita, a seguire ed onorare l'invito evangelico: servire piuttosto che essere servito

Pur fedele a queste linee-guida di vita, nel 1964 viene insignito "motu proprio" dal Vescovo Marcante della dignità di Canonico della Cattedrale di S. Pelino in Corfinio per meriti culturali, per austerità di vita e per servigi resi alla Chiesa di Dio, come recita la bolla di nomina alla carica, di cui sopra.

In stretto rapporto con la sua missione sacerdotale Don Ugo è Cappellano dell'Arciconfraternita della Santissima Trinità, di cui scrive la storia , Assistente spirituale del Terz'ordine Francescano e del Terz'Ordine Domenicano, dell'Azione Cattolica adulti e giovanissimi, Assistente della S. Vincenzo e degli scout.

Inoltre è insegnante di Religione nelle scuole di Popoli e svolge il suo ruolo

Don Ugo, sull'altare, nell'esercizio della sua attività pastorale (Aprile 1958)

con tanto amorevole impegno, che per tutti i suoi alunni (per la maggior parte parrocchiani), dentro e fuori della scuola, è non Don Ugo, ma il Professore.


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Don Ugo tra i suoi alunni (Novembre 1964)

Intanto nel 1968, alla morte del parroco Mons. D'Achille, Don Ugo rifiuta la direzione della parrocchia ma non può rinunciare alla qualifica di Vice ed è lieto del titolo di Rettore della Madonna delle Grazie, allora la Chiesa preferita della città, nel rione più povero della stessa, per essere al servizio dei più umili e dei più semplici, tra i quali è voluto rimanere, per espressa volontà scritta:

"desidero avere sepoltura tra la gente, alla quale ho rivolto la parola del Signore e che ho avviato al Regno".

25 anni di sacerdozio. Don Ugo distribuisce la Comunione ai genitori Ida e Giuseppe

(Marzo 1970)

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gli Indimenticanili   

La cultura, poi, ed il sapere, da lui sempre amati e ritenuti un bene prezioso dell'uomo, e che egli possiede in forma rilevante, li vuole porre a servizio della comunità, in cui esercita il ministero sacerdotale, ed offrirli alla stessa come forma estrema di carità.

E' questo lo scopo per cui inizia a scrivere la storia di Popoli.

La prima stesura è in forma di svelto ed agile volume informativo: "Popoli e i Popolesi"  (prima ed. 1976 - Fracasso - Popoli).

Successivamente la materia gradualmente lievita fra le mani e l'opera è ampliata, approfondita, accresciuta, rivisitata fino ad assumere dimensioni fisiche ragguardevoli (5 volumi) con caratteristiche riguardanti la vita religiosa, civile, economica e sociale della città nel corso dei secoli.

Il secondo volume "Popoli e i Popolesi" (Fracasso - Popoli 1980) e di cui si propongono due pagine (10 e 11), esempio di sintesi mirabile e di analisi sottile ed acuta di un ampio e complesso periodo storico, ha ricevuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nello stesso anno 1980, il "Premio Cultura".

Don Ugo offre, con l'opera, di cui sopra , memoria sicura, accurata e precisa all'intera comunità popolese del proprio passato. E' l'estremo atto d'amore alla gente, in mezzo alla quale è vissuto per 55 anni e che ha servito con appassionata dedizione.

Si "ascolti" direttamente la voce dell'autore: "Colloquio col lettore"  Popoli e i Popolesi - Vol. V - Fracasso - Popoli, 2003 - pagina 6:

FEUDATARI E VESCOVI

 Quando si fa la critica del medioevo, dobbiamo abbandonare gli schemi moderni: noi vorremmo trovare nelle costituzioni di allora e negli ordinamenti dell’epoca i principi addirittura di Helsinki. E sappiamo bene di non trovare applicati questi principi da troppi stati “demo carici” o presunti tale che pur sono passati attraverso i bagni di sangue delle rivoluzioni popolari. Perciò, spesso, falsiamo la storia e siamo o eccessivamente severi o troppo compiacenti

Le popolazioni che uscivano dal buio delle scorrerie e delle razzie, che sopravvissero al rullo compressore delle orde barbariche, affidandosi al “signore” dalla spada insanguinata, sapevano per esperienza di scegliere il male minore, accettando i pesanti diritti del feudatario. Ma ciò che avevano subito era stato ancora peggiore. Da secoli di  anarchia e di ribellioni, di stragi e di rovine, si accorreva nella cinta feudale come in un rifugio difeso dalla forza organizzata del feudatario. Alla testa di un drappello armato, egli difende di persona un angolo di territorio e i pochi beni dei poveri. Sovrano e proprietario, riserva a sé i boschi il fiume la riviera e i privilegi. Avendo egli solo dei risparmi, è il solo che  possa costruire un  mulino, in frantoio, un ponte, attivare una strada, arginare il fiume, allevare un toro. E’  la legge inesorabile, ma è legge. Impone, perciò, l’uso delle tasse. L’abitudine, il bisogno, l’adattamento spontaneo e imposto determineranno l’effetto comune: villici servi borghesi artigiani uniti in un interesse comunitario – la difesa dell’esistenza – formano un a società e un vero corpo.

La signoria, la contea, il ducato il castello diventano la piccola  patria che si ama di un istinto naturale ed esclusivo, per la quale si fanno sacrifici e si è pronti alla morte.

Poi, nelle stesse popolazioni, per la vita associata, per il contatto con le altre popolazioni, scaturiranno i motivi di evoluzione e di affrancamento. Per noi, in ritardo; presso gli altri, in anticipo con le monarchie nazionali.

Ma è vita viva di secoli, perché le civiltà non possono essere

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imposte dall'alto, come la luce, debbono sorgere dall'esperienza sofferta ed in movimento.

Mille anni fa, con il rifugio nel castello siamo entrati nel medioevo. Si ristabilisce, così, l'impero della legge.

L'altro punto di riferimento e/è la Chiesa, ridotta da fare orrore ai credenti e scandalo per i miscredenti. La causa principale della decadenza della Chiesa fu la scomparsa dell'impero romano. La Chiesa, rimasta l'unica forza organizzata, si abbassò al di sotto delle istituzioni laiche per la intromissione dei meno religiosi, avventurieri e simoniaci ( come sempre avviene ) nell'amministrazione non solo dei beni ecclesiastici ma anche di quelli sacri. Il Baronio chiamò questo secolo della Chiesa "il secolo della pornocrazia" ( Teodora e Marozia ). Alberico di Tuscolo, divenuto signore di Roma, fece riconoscere dai romani il figlio Ottaviano come successore nel dominio civile della città e come futuro papa. E così fu: Ottaviano fu padrone della città, e nel 955, a 18 anni, ricevette il sovrano pontificato col nome di Giovanni XII come si riceve un feudo.

A Giustiniano e Carlo Magno erano succeduti periodi di declino pauroso. L'arresto e l'avvio, in un passaggio cruciale, lento e graduale, dall'epoca oscura del primo medioevo alla nostra epoca si ha dalla fine del secolo XI.

La Chiesa uscita dal tunnel dell'avvilimento, spinta alla riforma interiore dai movimenti monastici, si trovò a lottare per la sua sopravvivenza e la sua libertà con il popolo e per il popolo. Il papa, chiamando nella lotta contro il clero corrotto e l'imperatore ribelle il popolo cristiano, ridestò in esso la coscienza dei suoi valori e dei suoi diritti. Le moltitudini sino allora disprezzate e non curate, estranee alla vita della Chiesa e alla vita pubblica, vennero di colpo investite di una delicatissima funzione religiosa: il giudizio dei loro pastori. Il popolo elabora una coscienza critica ed autonoma. Ed è proprio nella coscienza nuova religiosa e sociale che bisogna ricercare la radice dello sviluppo futuro e della futura maturazione di tutta l'Europa.

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Colloquio col lettore

Avendo avuto ancora un po' di respiro, ho voluto completare la ricerca di 50 anni quasi di vita vissuti a Popoli, per lasciare un lavoro definitivo che soddisfi il lettore.

Ci pensi? Negli ultimi due volumi di "Popoli e i Popolesi" trovi un arco di tempo che aggancia Popoli alla preistoria di 400 mila anni fa, quando tutto l'anfiteatro dei colli di Popoli era sommerso dal "Lacus Populensis", "il Lago di Popoli". La storia può produrre questo miracolo, facendoci passare, poi, ai primi insediamenti dell'epoca del neolitico (seimila anni a.C.) e ai primi documenti di Popoli (Pòperi) del mille d.C.. Poi le 25 generazioni del nostro millennio dei Cantelmo, il regno di Napoli, il regno d'Italia, le guerre, i morti, le fanfare, i drappi neri e rossi, i tempi nostri della Repubblica, quelli del lettore che legge adesso, le montagne e le nostre acque viste con i miei occhi.

Questa è la storia che consegno alla generazione attuale per il futuro.

Storia e monumenti, memorie e nomi, i primi della storia con le loro medaglie d'oro, Popoli con la sua medaglia d'argento e le realtà nuove: oasi di Capo Pescara, le terme, la gran Guizza, la Fassa Bòrtolo, la Piscina Comunale, la mediateca e il museo Corradini D'Ascanio.

"I miei giorni sono come ombra che declina

ed io come erba inaridisco" (Salmo 1001,12)

Tu, lettore, non mi dimenticare con il tuo affetto, il ricordo e la preghiera, quando non ci sarò più a ragguagliarti di Popoli. Ci saranno altri, perché questa è la vita nostra di cantori passeggeri.

Intanto, ringrazio mio fratello Ezio per la bontà e la pazienza nella revisione di tutto il materiale storici ed i battiti elettronici.

Ciao, lettore, ed abbi sempre amore per questo tuo paese, le cose sue, l'ambiente, l'aria, l'acqua, la storia,il passato e il futuro.

50 anni di Sacerdozio: Don Ugo benedice i fedeli.

(Marzo 1995)

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La città di Popoli l'ha riconosciuto questo forte affetto ed ha ringraziato Don Ugo anche con una partecipazione unanime e commossa ai funerali, sindaco in testa.

A questo punto, volendo ulteriormente sottolineare i meriti culturali di Don Ugo si propone l'elenco delle sue pubblicazioni, così come appare alla fine dell'ultima sua opera: Rettoria madonna delle Grazie Popoli - Editrice Sigraf - Pescara 2006:

Il Volume nella prima parte, in occasione dei 430 anni dalla fondazione della Chiesa, tratta della stessa e del culto della Madonna a Popoli e nella Valle Peligna.

In seguito presenta 53 Madonne dall'affresco di Cimabue (c.a. 1280) all'acquerello di Leonardo Quatraro (2006) con didascalia di ogni opera e breve commento critico-estetico.

Don Ugo è stato anche collaboratore stimato ed

 apprezzato di due importanti testate giornalistiche abruzzesi:

- L'Amico del Popolo di Chieti - settimanale. A varie riprese e con diverse rubriche e per lungo periodo di tempo.

- La "Tenda" di Teramo - mensile. Per un ragguardevole numero di anni intrattiene piacevolmente i propri lettori con rubriche in cui guarda ed annota aspetti della società che lo circonda, con occhio acuto e con cuore puro.

Il commiato è una sottolineatura, insieme con i meriti culturali, di un profondo sentimento d'amore di Don Ugo per la Mamma Celeste, che inizia da lontano (9-10-1936).

La composizione di un adolescente, di soli 15 anni, è preludio di un altro inno, riportato sul retro dell'immagine di Don Ugo, con i paramenti liturgici e che ricorda a tutti il giorno (15-6-2010) in cui è tornato alla Casa del Padre.

L'occasione della poesia fu il restauro di un altare ligneo del 1600, in onore della Madonna, voluto e realizzato a proprie spese dall'anziano canonico.

In uno slancio interiore, trepido e commosso, il sacerdote-poeta innalza un inno di fede, liberandosi da tutti gli appesantimenti terreni e rifugiandosi tra le braccia misericordiosi della Mamma Celeste, per cantare in eterno le lodi di Dio.

Mater Amabilis

Qual di Maggio nel mite sorriso

rifioriscon le rose ed i gigli

così schiudesi il cor dei  tuoi figli

per Te, o dolce Regina di amor.

E Tu o Madre dal cielo tranquillo

di clemenza ove siedi Regina

de’tuoi figli alla prece t’inchina

e a l’olezzo dei mistici fior.

Madre al sospir degli esuli

volgi benigno il viso

basta ogni pianto e tergere

del labbro tuo un sorriso.

Se del porto s'oscura il cammino

per minaccia di bieca procella

su noi splendi , o vaghissima stella,

tra le insidie del livido mar.

Su noi splendi e con gesto materno

deh, ci spieghi, o Regina, il tuo manto.

E’ sì dolce nell’ora del pianto

sul tuo cuor di madre posar.

 Per te il cuor si cangia e ravviva

nel dolor che accompagna la vita;

per te sentesi l’alma smarrita

ritemprarsi a novella virtù.

Se la colpa qual gelido vento

ha in noi spento ogni santo vigore

Tu di speme, di fede e d’amore

ci rinfiamma nel Cuor di Gesù.

Nella Gloria del Signore

Requiescat in Pacem


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