Giuseppe  Tiberi

Ru pucurarjelle

- Racconto Abruzzese -


 da  RIVISTA ABRUZZESE    [N. 1 - Gennaio -Marzo 2006]

Rassegna trimestrale di Cultura

In sottofondo è possibile ascoltare le note del brano

Volturno (Ivana Rufo)

del gruppo musicale Il Tratturo.

Una mattina di ottobre del 1896, mentre suonava l'angelus alla chiesa di Santa Maria della Fonte [ 1 ], una cigolante carrozza a mantice, con i fanali accesi, rotolava lentamente per la strada brecciosa delle Fonticella.

Steve chjove e nen chjove. A cassetta, il vecchio Salvjestre, nghe la coppola di tela cerata e avvolto in una mantella di finto cammellino, bofonchiando contro la bestie, una pariglia di muli e 'na bella jmenta ardenese di poco più di otto anni, dava ogni tanto una strappata alle briglie e un giro di martellina.

Nella  carrozza,  sui  cuscini impagliati,  sedevano due donne che  portavano a vendere le scamorze,  e un ragazzo sui quattordici anni, anche lui

Foto d'inizio secolo scorso, che riprende la diligenza a mantice che effettuava servizio postale e passeggeri tra la stazione di Ripamolisani ed il paese di Morrone del Sannio. Simili erano le carrozze che effettuavano regolare servizio di linea tra Rivisondoli e Castel di Sangro, specie nel giorno di mercato, come sapientemente descritto da Peppino TIBERI nel suo racconto [ immagine dalla rete : http://www.morronedelsannio.com/ ]

imbacuccato in un pesante fazzolettone. Si chiamava Carline, e stava andando alla masseria dello Spirito santo a uardejiè le pecure di don Liborio. Gli era morto il padre da poco e aveva dovuto lasciare il seminario. Essendo il più grande  di cinque figli, doveva prendersi cura della famiglia.

La madre gli aveva fatto rimettere a misura re chenzune e la giubba de ru puotre, e mastre Lovigge ci aveva fatto uscire pure il gilè nghe tutte re saccuccine, addò ru quatrare ci teneva ru curtellucce che s'accattè alla fiera della Maddalena. mo fa l'anne; nu scuzzature  [ 2 ] e cinquanta soldi che gli avevano rijalate quando andò a bacià le mjene a re zijanne, pe' licenziarsi.

Invece delle cascetta, con i libri, il corredo e la tonaca, portava ora con sé soltanto nu sacchitte nghe la recagniete e 'na mappatelle de cioffe  [ 3 ], che gli aveva fatto la madre per il viaggio.

Vicino al tabernacolo della Madonna delle Grazie, Salvjestre si scappellò e poi accese la pipa, con in bocca ancora il gusto dell'anacione che aveva bevuto nella cantina del Cacciatore.

Stava schiarendo. Una spera di sole si insinuò tra le morge delle Prete delle hatte  [ 4 ]. Sembrava ora che volesse rasserenare, e il vecchio grugnì soddisfatto. Sotto Piè Lucente, allentò la martelline, schioccando ru staffile. Mentre Capetane e don Paquale, anzevene cosse, Marchesine la jmenta, pejette la scapule  [ 5 ], e la carrozza partì con uno squillante scampanio di sonagli, sollevando dense nuvole di polvere, fine e bianca come farina.

Come scjenne sotte a Contre, ru Pruote  [ 6 ] era inondato di sole.

Le scamorzare avevano preso a recitare il rosario, mentre Carline, con la testa sotto il fazzolettone, facendo finta di dormire, una alla volta, se spuzzulejè  [ 7 ]   tutte le cioffe.

Alla fine, si mise anche lui a rispondere, ma dopo un paio di poste, si addormentò e dormì finché abballe a Castiije non lo risvegliarono le voci delle donne, che, salutando Salvjestre, dopo averlo pagato, si allontanavano con i cesti sul capo.

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NOTE

1 Antica chiesa di Rivisondoli abbattuta come pericolante subito dopo il terremoto del 1915;    2 Specie di siringa fatta con un cilindro di sambuco, svuotato del midollo, che per mezzo di  uno stantuffo espelle con forte rumore una pallina di stoppa bagnata. Una variante di questo giocattolo era presente nel folclore francese: Cfr. Rebelais F.  Gargantua e Pantagruele (Libro Secondo, Cap. XIX);    3 Dolci fritti:specie di cenci;  4 Prete delle hatte: Pietre (rocce) dei gatti. Bellezza naturale distrutta dal cemento;   5 Si slanciò;  6 Il Prato;     7 Spolverò;

 


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  i Racconti   
 

Era il giorno di mercato e la piazza era ripiena di gente. Nell'aria, risuonavano le voci strascicate delle ortolane, assettate ncoppe a re chentune, nghe la vunne atturzate: "Foje, cheppucce, spogne, refenijie" Due zingari andavano in giro tirandosi dietro un cavallo arrembato, con un bel fiocco rosso sulla fronte. Gli avevano lustrato il pelo nghe le sive e nascosto le piaghe ai garretti con un loro impiastro, ma nonostante la loro mauletta [ 8 ] non riuscivano ancora a combinare l'affare. Ogni tanto si sentiva alluccuò 'na femmenelle, appena arrivata dal paese 'nghe nu sacchitte 'ncape, mentre 'na manejete de memmuocce la steve a mette' a crepe: Rucculane magna patane, mammete hè viecchje e fle la lane [ 9 ]  .

Salvjestre affidò la carrozza a Carline e, dopo aver ordinato alla cereria, per conto dell'arciprete una dozzina di chenneluotte  paccute,  andò a consegnare alla cunate di don

Dettaglio da foto d'inizio secolo scorso (1914), che riprende i luoghi con i quali Peppino TIBERI avvia il racconto di queste pagine. Sono evidenti la Chiesa di Santa Maria della Fonte con il grande olmo che le svetta accanto, e la nuova via che porta alla "strada brecciosa della Fenticella".

Liborio dieci chili di rascia [ 10 ]  de Selmona. Il palazzo di donna Prassede puzzeve chettappeste dalla gradinata, dove, sul pianerottolo, c'era la seggetta del pozzo nero, alle lamie, dove il  marito teneva l'allevamento dei piccioni viaggiatori. A quell'ora della mattina, la figlia faceva esercizi di canto, mentre il primogenito nella sala d'armi si allenava alla scherma con la mazza della scopa.

Donna Prassede, seduta in poltrona, nel ricetto, ancora nghe tutte re cjurre [ 11 ] 'ngrefjiete  [ 12 ] prima di lasciare al vecchio la ricevuta, esaminò ben bene tutta la pezza, pesandola un paio di volte.

Quando fu pienamente soddisfatta, gli fece versare dalla serva nu becchjere di vino che se ne era jte all'acite, mettendogli in mano un centesimo, mentre Salvjestre  vurvutteve: - Ce magne de grasse. Quisse e njente, sò periente  [ 13 ] .- Il vecchio poi p'arraccungiarse la vocche, se  jette a fà nu mischje dal caffettiere vicino alla chiesa di San Domenico.

Dopo si fece un paio di partite con il messo comunale. Si giocarono due mezzi litri. Quando quello volle la rivincita, chiamarono altri due mezzi litri. Con voce squillante, nonostante tutto, Salvjestre  velocemente contava le carte con una filastrocca: Cca une, ccaddù, ccatrè, cancelle, fluato bbelle, donlimò donlimò, conta bbuone cca sidece sò: diciassette, deceddotte, deciannove, vinte e ventune: carte e settante, pave ca sì d'Agnone. - E arrotandosi re mustacce, Salvjestre  si alzò un pò traballante tornando alle sue faccende.

Carline, intanto, mentre somministrava un po' di fieno alle bestie, fece conoscenza nghe ru munachjelle di San Amico. Il vecchio, appoggiato alla parrocche  [ 14 ] andava per la questua nghe re chiuchjie nuove che gli avevano fatto le vezzoche, un campanellino legato al polso e la cascettelle per le limosine.

Ru quatrane, dopo aver baciato i santini, vi mise due soldi. Allora ru rumite gli dette un bel tozzo di pane arrecapate dentre la vesaccelle. - Zazè, se l'embunne, cosa hè saprite - disse.

Quando jaddumannè, Carline respunnè: - Vaje a'uardejiè la pecure. Prima steve a ru semenarie e Triviente. Mo fa tre misce che s'hè muorte tatà, e papanonne m'hè misse sotto all'arte.

Cartolina d'inizio secolo scorso che riprende in dettaglio la Piazza del Mercato di Castel di Sangro, nella quale  Peppino TIBERI ambienta buona parte del racconto di queste pagine. Sottolineiamo la vecchina che tira l'asino con il carico sulla varda, e ru traine alle sue spalle. Sul muro dell'edificio sulla destra appare la scritta "ALFONSO BERARDINELLI vendita di suola e pellami, ed articoli per calzolai"

   
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NOTE

 8 Mauletta: scaltrezza;   9 Blasone denigratorio;   10 Tipo di tessuto di lana;  11  Ciocche di capelli;   12  Arruffate;  13  Espressione proverbiale;  14  Tipico bastone dei pecorai, con la testa induritae, talora curvata nel fuoco. Cfr. greco puracteo: rivoltare nel fuoco, arroventare;

 

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i Racconti     
 

Carline non che fosse molto dispiaciuto d'aver dovuto lasciare il seminario, soltanto non si faceva capace de jì a 'uardejè le pecure. Isse averrije volute jì all'Amereche o all'Afreche a fà la guerra. Ma ere ancore troppe uajone, e poi la madre teneva besuogne delle cinche lire che gli passava don Liborio.

Ru rumite disse: -Eh, che ce vuò fà,fijie bbelle. Fertuna e duorme. Pure j' vuleve duventà mnzegnore, ma addollè -. Seduto sulla predella della carrozza, raccontò poi a ru quatrare nu fattarjelle destruttive (voleva dire istruttivo): " Na vote, nu poverome, mentre zappeve, truvè 'na pegnjete chjene de cacate. Allore, nghe la santa pacienzja la rabbellè e nghe ru sante nome de dDije, se remettè a zappà. Nu vecine, che ive sempre smucenejenne, cande quire puveromme se ne reì alla casa seje, sfussè la pegnejiete pè vedè che ce steve, e ce truvè ru bjelle cumplemente. Allora, tutte 'ngazzate, la sbalanzè dentre la case de ru poveromme. La pegnjiete se rumpè e ce scì nu tesore tutte da marenghe e duchjete d'ore".

Fece una pausa, cercando di ricordare se avesse dimenticato qualcosa, poi continuò: - Sci 'ntese? Nen ncarecà zazè. Mo te cante la prefezzije: Cande la fertune vo', la case la sa [ 15 ]. 'Mbè, mo va' nghe ru sante nome de dDije -. E a cica a cica si allontanò, fermandosi poi alla punta della rua per far baciare il santino a cierte uejiune che stevene a cantà: La reggina Taitus calette le schjiele e se rumpette lu mmusse.

Mentre con la mente riandava al racconto del vecchio, Carline seduto dentro la carrozza, si mise a contare i suoi soldi,pensando che non ci voleva niente a farli finire, e che invece se metteva a ru pizze nu centeseme a ru juorne, 'ncape a 'nnuonne faceve cchjù di tre lire e mezza.

Tutto contento del suo progetto, aspettando Salvjestre, si mise a camminare su e giù vicino alla carrozza, con la frusta sulla spalla, e le bestie arrecchjevenne. Dopo un pò gli si avvicinò 'na pettranese, con in testa la sua bianca tovaglia dalla lunga frangia, e con la sporta sotto il braccio, mettendogli in mano 'na bbella rracciappule di uva muscatelle per venti soldi, ma ru quatrare posò il grappolo nella sporta dicendo: - Bella fè, a me l'uve me pjiece sprescjete  [16].

2/

Le bestie fresche e riposate, scalpitanti all'ombra di un salice, presero a rignare mentre Salvjestre calma calma si stava arrampicando sulla serpa. Carline, sentendo il suo fiato aromatizzato,, si disse: "Silvestrus olet vinum", e je scappeve la risa.

Il personaggio di fantasia inserito da Peppino TIBERI in questa parte del racconto non può non riportarci alla memoria la figura ascetica di frà  Nicola.

Indimenticabile la sua semplicità, la frugalità nel vivere quotidiano e la disponibilità sempre manifestata non solo nell'aiutare chiunque ne avesse bisogno, senza dover chiedere, ma soprattutto nel sapere colmare i nostri dubbi e le nostre incertezze con poche, incisive, semplci ed illuminate parole di fede.

Quando il vecchio dette una strappata alle redini, gridando: trescèeee [ 17 ]  , le bestia springarono [ 18 ] e poi attaccarono l'appettate speutejienne [ 19 ]. Dopo un pò, la strada si fece più erta, e Salvjestre mise le bestie al passo, accendendo poi la pipa. Ru quatrare, seduto accanto al vecchio, borbottava: "Spero, promitto e iuro reggono l'nfinito futuro", mentre governava la martelline. Appena fuori paese, incontrarono 'nu scardalane che assettete 'coppe al suo attrezzo mangiava pane e cipolla, e ogne ddije de mucceche.

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NOTE

15 Espressione proverbiale;  16  Metafora per indicare che l'uva piace spremuta, cioè tramutata in vino;  17  Verso tipico d'incitamento ai cavalli per avviare la mercia ;  18  Termine tecnico dei cavallari; 19  Spetezzando;

 


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i Racconti     
 

Salvjestre  salutò schioccando la frusta. Mentre passavano tra le rovine di un vecchio convento abbandonato, furono richiamati dalle viasteme de nu banome armato di un grosso tacchero, che correva dietro un leprotto, gridando: -Se tè 'ngappe pe la Madonne. - la bestiolina, mentre ive a capedabballe, s'accapetunneve e ad un certo punto stava per essere raggiunta, ma poi salì per una costa e se ne jette a capedammonte, e vattele a refutte.

Il sole era bello alto nel cielo, con poche nuvole sfioccose. Da un terreno dirupato che stavano spietrando, arrivavano ad un tratto le alluccarecce di alcune donne che salutavano agitando la breccia. -A chele, je remocceche- borbottò Salvjestre .

Le bestie andavano belle belle di mezzo trotto. Una dopo l'altra, venivano loro incontro distese di prati, punteggiati dai monticelli di terra scura e vellutata delle tupanare, e terreni da poco arati e campi ancora con le restucchje.

Cartolina d'inizio secolo scorso che riprende la panoramica della Piazza del Mercato di Castel di Sangro, nella quale  Peppino TIBERI ambienta buona parte del racconto di queste pagine. La prospettiva verso nord ci presenta una piazza notevolmente diversa dalla situazione attuale, ove gli ampi spazi qui rappresentati hanno subito notevoli ridimensionamenti, seppure ampliati con l'abbattimento di molte delle costruzioni in primo piano e sulla destra della foto.

Di essa evidenziamo la totale assenza di traffico, la fontana al centro dell'area mercantile e "re traine" momentaneamente parcheggiati sul lato nord della piazza.

Carline sbadigliava rumorosamente,facendo  sbuffare  i  muli,  mentre  il vecchio diceva: -Che ale, nen vale. - Ad un tratto, su un poggetto fitto di cespugli di pruni, apparve una casetta diroccata.

Salvjestre  tirò le redini, rimanendo un po' assorto, poi disse: -Vide, ssu casarine scuffuluote, 'na vote ce se 'mpazette 'na bella giovane. Quel giorno mi ci trovai pure io, sviziatamente  [ 20 ].

Boncunte, l'avemme attaccà nghe le corde. Savame quottre e chela puurellucce muccecheve gne 'nu lope, senza sgherze. -Il vecchio ebbe come un tremito: ogni volta che gli ritornava in mente quel fatto, si sentiva rimescolare. Ma ru quatrare nen le steve adduselà: teneve suonne e fame. Cchjù suonne che fame, esse pecchè.

Tutte a nu mumente, dietro lontani monti che andavano lentamente avvicinandosi, grigiastri e scabri, come dorsi de buoi, risuonò un forte tambureggiare di tuoni.

- Mo ve' a chjovere-disse Carline .-Eh, si sa - fece asciutto il vecchio - cande ndone chjove, a cande lampe scampe  [ 21 ].

Salvjestre  aveva da qualche anno passato la cinquantina. Aveva fatto sempre il cocchiere. Sul Macerone, nel sessanta aveva guidato i carri con le munizioni, mentre steve adarrevjè ru ggenerale Ggiardine  [ 22 ] .

Adesso era solo. La moglie l'aveva lasciato, perchè fove vjecchje, diceva. Era andata a Napoli a servizio del fratello di don Lborio, che faceva ru nutare, ma dopo un po' s'ere misse con un cameriere del caffè Acenielle, che je purteve vint'jenne.

Tutto quello che Salvjestre  possedeva erano la vecchia carrozza e le bestie, ma ce steve poche da scarcià. Si sa, avevene cavutuote le muntagne: steve p'arrevjiè la ferruvija, e nessuno avrebbe avuto più bisogno delle carrozze. 

Ora la strada era entrata in un bosco scuro e silenzioso, folto di querce e faggi. Nell'aria c'era l'aspro sentore delle perugine. In alto al di sopra delle cime degli alberi, arrabbejiete  [ 23 ], gracchiavano le ciaule.

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NOTE

  20 Per caso;  21 Espressione proverbiale;  22 Si tratta del generale Enrico Cialdini;  23 Affamate;

 

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i Racconti     
 

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Era la mezza quando si fermarono alla taverna della Papessa, juste pe' nu mucceche e per rigovernare e far riposare le bestie. Nella corte, alcuni operai della ferrovia, con calzoni di pelle di diavolo e le maglie di lana di pecora, giocavano a battimuro.

Dopo aver sistemato le bestie, ed essersi tolto di dosso la polvere, che a Salvjestre  aveva imbiancato pure i mustacci, entrarono nella taverna, un lungo stanzone dal pavimento di terra battuta. Dalle nere travi del soffitto, pendevano alcune vesciche di strutto, trasudanti untume, e grappoli di diavulitte. In un angolo due cavallari si stavano giocando un quartino di vino cotto. Uno dei due, quando faceva una buona presa, gettava le carte, gridando: -Cande mijè Capracotte ha cacciate le precoche  [ 24 ]. - Mentre l'altro, ancora più forte, rispondeva: -Mo t'allisce j' ru pile.

Quando la Papessa, con la faccia cavalluta ingrugnata, minacciava di cacciarli, si zittivano per un po', per ricominciare peggio di prima quando quella si allontanava dal bancone per andare a sbraciare il camino, dove su un grosso treppiede, c'era 'na ramjere nghe le cuccette [ 25 ] fuoche sotte e fuoche sopre. Alla domanda di Salvjestre , la Papessa disse: -Le cuccette le mette a ddù lire la cuppiarole.- Il vecchio, che teneve 'na ddije de scazzeche, rispose: - Nen hè pe' nnù.

E chiese quinnece solde de pane cuotte e 'na vuccalette de vine paccute.

4

Magnenne magnenne, Salvjestre  ogni tanto vurvutteve: - Me ne hajie perdute de magnjiè bbone, pe' mancanze de solde. - E mentre assaporava un centello di vino succhiando dal bicchiere con un gambo di finocchio, diceva: - Uajiò, magna ca sta pavate.

Manovalanza varia intenta alla preparazione del terreno per la realizzazione delle massicciata di una ferrovia. Non molto diversa doveva essere la situazione nelle nostre zone, negli anni intorno al 1890 per la costruzione della ferrovia

Sulmona - Carpinone, citata da Peppino TIBERI in questa parte del racconto.

[ immagine dalla rete : http://www.amiciferrovie.org/un_po_di_storia.htm ]

Quando il vecchio accese la pipa, Carline s'arrunnè pure ru cuoppe [ 26 ] .

La Papessa, intanto, tutta arcigna, andava tra i tavoli per farsi pagare, controllando che non le affibbiassero qualche moneta di piombo [ 27 ]. Ad un certo punto, Salvjestre , guardando l'orologio, disse: - Uaijò, sarije ore, se vuleme arrevijè alla massaria prima che sa fa nire  [ 28 ]. - E andò a mettere i finimenti alle bestie, seguito da Carline .

Nell'aria c'era un asciutto profumo di serpillo bruciato dal sole. Fra le morge di una aspra costa, risuonò il richiamo di una pernice. Da Rionero, calava una lunga fila di carri in una nebbia di polvere. Salendo sulla carrozza, Carline s'addunè di aver lasciato ru sacchitte con la  sua roba appise alla seggia e tornò indietro.

Come mettè piede nella taverna, trovò la Papessa che steve a lengarejiè [ 29 ]. Avevane misse mjiene a ru cascitte e je mancheve 'na carte de venticinche lire. La vecchia raccuseve [ 30 ] Pajuche, un caporale della ferrovia, che teneve na poche le mjiene longhe. Quello, invece, diceva che la Papessa aveva nascosto i soldi dentro re chenzune. E viastemenne viastemenne, dava manazzate sul bancone, fichè nen ce se mettè ru diavere... l'angelo sia con noi. Ru vuccalone chijne de vine, s'ammucchè rotolando a terra in frantumi. Pochi videro quello che accade dopo. La Papessa caccè nu curtiejie da ru tirature, e s'abbentè contre Pajuche, che tutte a nu mumente mettè mjiene a ru revolvè. Una palla passè risce risce  [ 31 ] alla recchia della Papessa, che cercando di scappare, se ne cadì sane sane dentre ru huate [ 32 ] della fossa delle patane. La seconda botta attecchette Carline mbjette, ma ru quatrare nen se n'addunè.

Locomotiva SFM 01 <<Rionero>> in servizio sulla ferrovia a scartamento ridotto al servizio dei cantieri della Sulmona-Isernia tra Roccaraso e Carovilli.  Era usanza dell'epoca chiamare le locomotive con i nome delle principali località toccate dalla tratta ferroviaria.

Il nome della cittadina di Rionero appare nelle righe appena sopra la foto, qui nel racconto di Peppino TIBERI, ambiemtato negli anni della costruzione della ferrovia.

Ere jute pe' truvà grazjie, ru pucurarjelle e truvè justizjie  [ 33 ].

                               

                                        Giuseppe Tiberi


Il racconto è pubblicato su:


 
 RASSEGNA TRIMESTRALE DI CULTURA
Anno LIX - 2006 - N. 1

 

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NOTE

24 Espressione proverbiale;  25 Testine d'agnello;  26 Raschiò pure il fondo della scodella di legno;  27 Le monete falsificate con questo metallo sono quasi impossibili da spacciare, e quindi prive di qualsiasi valore. Da ciò l'espressione popolare stare o rimanere piombi;  28  Nire: scuro;   29  A lengerejiè: a litigare; 

30  Raccuseve: incolpava;   31  Risce risce: rasente;   32  Huate: botola, cfr. latino hiatus;  33  Espressione proverbiale.

 

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