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 L'Emigrazione

Rivisondoli in cartolina

la Voce di Rivisondoli

 

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L'abbigliamento femminile è quello che da sempre offre la possibilità di attrarre l'attenzione dell'osservatore sia per la varietà di forme ed accostamenti, e soprattutto per la ricercatezza accanto alla delicatezza ed eleganza  sempre presenti.

L'abbigliamento maschile, al contrario è rimasto prevalentemente quasi immutato nelle linee essenziali, seppure caratterizzandosi con il  trascorrere del tempo,  solo per pochi elementi rappresentativi dei secoli di appartenenza. Uno di questi è senz'altro il famoso mantello a ruota o cappa ( alias tabarro).

Sul retro della foto che riportiamo sulla destra appare la sola annotazione a matita 1898, senza evidenza del luogo e delle persone.

La proponiamo nell'intento di far risaltare l'abbigliamento maschile, tipico della stagione invernale, che abbiamo avuto modo di mostrare

in alcune immagini già proposte in altre sezioni, ed in particolare nelle sequenze dedicate a:

- l'Albero della Fonte    n. 2;

- la Piazza                      n. 3, 6, 10;

- la Stele                        n. 1, 2.

Ormai scomparsa dalle città, definitivamente soppiantata dal più funzionale cappotto, agli inizi del Novecento la cappa  rimane di fatto largamente diffusa nelle campagne e nei piccoli centri, comunque sulle spalle di tutti, sia notabili che popolani e contadini. Di colore scuro, di panno grosso e pesante, impermeabile, ormai solo capo invernale, è presente  nel nostro territorio almeno fin agli anni '50. Ha un solo punto di allacciatura sotto il mento e viene tenuta chiusa buttando un estremità sopra la spalla opposta in modo da avvolgerla intorno al corpo.

 Vi erano due modelli: quello classico lungo fino al polpaccio, che ritroviamo nelle sequenze sopra riportate, e quello più corto, usato per andare a cavallo. Quest'ultimo lo ritroviamo nella sequenza panorama da Sud  n. 5,  e nella prima immagine della pagina dedicata alla chiesetta di S. Antonio Abate.

Entrambi i modelli appena descritti, sono presenti nella prima foto di questa pagina, ricca di ulteriori elementi  di suggestione: i cappelli i feltro, di varia foggia ( notare la bombetta indossata dal personaggio centrale ), le pesanti calzature in cuoio, rinforzate con i chiodi a testa godronata (le cintrelle), il tipico panciotto con il taschino per l'orologio ( la cipolla ), e per tornare alla cappa, alcune complete del colletto in vello di pecora o addirittura in "astrakan".

Con il trascorrere degli anni, dai primi decenni del Novecento il mantello a ruota andò progressivamente in disuso permanendo esclusivamente in ambiente montano o presso i pastori, di colore grigio o marrone, tessuto in mezza lana sottoposta ad infeltrimento e follatura, in modo da renderlo impermeabile.

Personalmente il ricordo del mantello a ruota è legato con struggente nostalgia alla figura di nostro nonno Antonio, che con gesto affettuoso ci avvolgeva ricoprendoci completamente, quando andavamo a chiamarlo in piazza, dove con i suoi compagni trascorreva qualche ora riscaldandosi al sole, in attesa del momento  del pranzo che gli veniva annunciato da noi grandicelli, solerti ma non sempre docili collaboratori alla quotidianità domestica.


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Le immagini che seguono esaltano l'abbigliamento  femminile nella sua semplicità quotidiana.

La foto a sinistra è una classica posa da studio, fortunatamente realizzata con l'abito usuale, al massimo quello buono della festa.

 In quella sulla destra non è possibile parlare di posa o meno dei personaggi, comunque abbigliati nell'abito di ogni giorno.

In entrambe le foto, gli elementi che risaltano sono i lunghi gonnelloni sin oltre le caviglie, sormontate dalla "mandrella" vezzosamente a contrasto e "ru fazzelettone" indossato nella foggia più semplice, ed annodato sotto il mento.

La prima fotografia è databile all'incirca tra il 1910 ed il 1920, mentre quella sulla desta riporta l'indicazione a matita "arrete a Corte - 1916"

La spontaneità del momento viene esaltata dalla gallina che si avventura timorosa a dare qualche beccata tra la biada che è stata porta al cavallo attaccato a "ru traine" ancora carico di sacchi di mercanzia, e dal passante in giacca e cravatta (di certo non un contadino) il quale appoggiandosi all'ombrello, sale verso il paese.

Proponiamo con piacere l'immagine invernale che segue, la quale racchiude diversi elementi non più comuni nelle prospettive quotidiane di Rivisondoli. Il personaggio in primo piano, intabarrato nell'ampio mantello a ruota, spala la neve per rendere praticabile la percorribilità delle scale. Siamo infatti nella seconda rampetta della scalinata che da via Roma sale verso il Colle.

La protezione verso la strada sottostante è ancora parziale, realizzata con il solo muretto basso, ancora incompleto della ringhiera metallica che attualmente offre una maggiore sicurezza a coloro che, oltre ai residenti, fruiscono di questa scorciatoia per raggiungere più rapidamente la parte alta del paese.  

Non è poi inusuale incrociare per questa scalinata turisti intenti a riprendere le immagini che la prospettiva del panorama che si schiude ai loro occhi offre ai loro marchingegni di ripresa.

Panorama, oggi, ben diverso da quello che possiamo con nostalgia gustare nell'immagine a lato. Non siamo contrari "a prescindere" per quanto il turismo ha rappresentato per Rivisondoli, ma desideriamo comunque proporre al ricordo di tutti, anche di quanti non hanno avuto l'opportunità di viverla di persona, l'atmosfera paesana prima dell'avvio della "spinta turistica", partita negli anni sessanta.

La foto risale agli anni '50, come testimonia la visione delle "Prete delle Gatte"  oggi più note come Monte Gatto, senza il "villaggio Acea" e le villette che via via vennero costruite, inizialmente lungo la strada di accesso, e successivamente ad invadere i campi che raccordavano verso il "laghetto" e la latteria.

La didascalia della foto della cartolina a lato, viaggiata 14 Marzo 1933, recita testualmente: "Bellissima istantanea presa nella strada che conduce alla stazione".

Ci troviamo infatti poco dopo la "casetta di Vitucce", in salita verso il paese. Oggi la prospettiva è completamente mutata nelle immediate vicinanze, mentre è restata inalterata all'orizzonte, ove tra le nevi è possibile distinguere le "Prete Cernare" al centro, e la sagoma di "Monte Tocco" sulle destra estrema in alto dell'immagine.

I dettagli che a noi piace sottolineare, e che ormai appartengono alla sfera dei ricordi sono: l'atteggiamento mite del somarello che attende docile i comandi, prestando attenzione a quanto avviene alla sua destra (vedi l'orecchio dx. voltato in quella direzione); la "varda" carica dei sacchi, probabilmente della posta, ritirati poco prima alla stazione ferroviaria; la "cuvella"  evidente  in  primo  piano,  e  che  serviva a

fissare tramite le funi, le mercanzie sulla "varda"; la "coppola" indossata dai personaggi, con le ampie falde rivolte verso l'alto e fissate con un laccetto, e che all'occorrenza potevano essere rivolte in basso a protezione di entrambe le orecchie.

La traccia sulla neve era stata lasciata probabilmente dal passaggio ripetuto delle "trajie" che all'epoca costituivano la prevalenza dei mezzi di trasporto a disposizione. La neve veniva allora spalata a mano nelle sole strade interne del paese, e non in tutte, e la mobilità  sulla rete viaria esterna metteva a dura prova la determinazione e l'esperienza dei viaggiatori.

Quanta parte della nostra storia è racchiuso in questo semplice e mirabile scatto fotografico !!!


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il Costume  

Segue una bellissima istantanea che ci consegna un'evidenza dell'abbigliamento quotidiano a Rivisondoli negli anni '40.

Un giovanissimo Domenico posa accanto alla nonna Raffaella, conosciuta in paese con il soprannome di "Mammuccia", intimidita dalla circostanza per lei inusuale.  Era difficile  convincere  gli  anziani  a lasciarsi f otografare, poiché ai tempi della loro fanciullezza avevano ripetutamente ascoltato storie di streghe e diavolerie, come veniva appunto ad inizio novecento considerata ancora la fotografia.

 Nell'abbigliamento della signora riscontriamo una delle varie fogge de "ru fazzelettone" in panno pesante, l'ampia "mandrella" che si sovrappone a "ru vunnellone".  A questo  abbigliamento  le persone più anziane  restarono fedeli  fino all'incirca  agli anni '70, mentre le più

giovani avevano accorciato da tempo la lunghezza delle gonne, e se ancora portavano in capo il fazzoletto, questo era di tessuto più leggero, ed adornato da semplici motivi geometrici o floreali.

Elementi questi che riscontriamo nelle due foto che seguono ove incontriamo una Domenica ( "Menga Ciannella"  moglie di "zì Ming" [ zio Domenico]*e mamma di Edera ) che si era "convertita" ai nuovi canoni, mentre una indomita Angela (Angiulina la macellara) "osava" mostrarsi a capo scoperto, esaltando i capelli raccolti sempre "ne ru tuppe".

* - Simpatica nota di colore paesano = "zì Ming" era noto in paese per la sua proverbiale prudenza.

Quando periodicamente si recava in  Puglia per il controllo delle greggi affidate alla cura dei propri pastori, utilizzava il treno per Foggia che passava alla stazione di Rivisondoli alle ore 05:°° di prima mattina.

Ebbene, coerente al motto che "il treno non aspetta, e meglio che lo aspetti tu", "accìche accìche" si avviava da Rivisondoli di buon ora, per   essere in stazione già intorno alle ore 03:°°.

Foto fruibili in rete grazie alla cortesia di Maria Assunta e della sig.ra Maria

 

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