27 Ottobre 1943 - data indelebile nella Storia del nostro paese, questa riportata nel volantino che recitava inequivocabile :
1.) A causa militare il paese Rivisondoli sarà fatto saltare in aria.
L'azione di distruzione ebbe inizio a salire da Piè Lucente, ove raggiunse purtroppo i risultati più rilevanti; a spot i genieri della Wehrmacht si avventarono nella zona della Piazza come mostrano le immagini che poniamo all'attenzione dei navigatori, in sequenza in questa pagina.
A simbolo di queste distruzioni, dolorose per molti nostri concittadini, resta nel cuore di tutti i Rivisondolesi lo squarcio lasciato dal crollo del campanile settecentesco, che per duecento anni aveva affiancato la facciata della Chiesa Madre.
A nome dei visitatori del sito sottolineiamo la gratitudine di noi tutti all'amico Cesidio SPAGNUOLO, che ha concesso l'inserimento delle immagini che seguono, facenti parte della collezione del papà, l'indimenticabile Alberto, atleta sciatore dell'agguerrita squadra che nel nome di Rivisondoli raggiunse, negli anni d'inizio novecento, traguardi di tutto rispetto. Ragazzi, atleti di rango, presenti nel sito alla pagina 100 anni di sci.
La foto sulla sinistra, risalente all'autunno del 1944, ci mostra la ferita più estesa inferta al tessuto urbanistico di Rivisondoli.
L'efficace opera distruttrice messa in atto dall'esercito tedesco, sbriciolò tutte le abitazioni che si estendevano alla base del paese, dalla sinistra della foto, sin quasi all'estremo destro.
Sono infatti completamente sparite tutte le costruzioni adiacenti la strada che s'inerpicava sulla montagna, seguendo le linee di livello, sino alla terza curva.
Analoga sorte subirono le abitazioni isolate sulla sinistra, alla base delle case a schiera della fortificazione medioevale, ed alcune sulla destra, nella zona degli "orti".
Il profilo dell'orizzonte paesano, tanto usuale per centinaia d'anni agli occhi degli abitanti che risalivano da Piè Lucente, è ormai dolorosamente privo, e per sempre, della sagoma inconfondibile del Campanile a sezione quadra, compagno elegante e nel contempo "protettivo" della facciata della Chiesa Madre.
La solidità della tecnica di costruzione del
Campanile e la sua eleganza architettonica, sino ad allora, avevano efficacemente contribuito a superare tutte le prove alle quali era stato sottoposto dall'inclemenza degli agenti atmosferici da un lato, e dalle scelte architettoniche che negli anni avevano invece richiesto interventi, anche radicali, nel rifacimento della facciata della Chiesa, dall'altro.
Nella foto di dettaglio sulla destra appaiono evidenti lo scempio e la distruzione delle prime abitazioni ai piedi del paese.
Non ci sono parole per descrivere compiutamente i sentimenti che squassarono l'animo dei compaesani al rientro dallo sfollamento nel vedere quanto si presentava ai loro occhi.
Lasciamo ciascuno nell'ascolto delle proprie emozioni. Tra coloro che furono testimoni diretti delle vicende che trattiamo in questa pagina, Mons. Antonio Ciccarelli ha lasciato un manoscritto nel quale espone mirabilmente lo stato d'animo dal quale fu sopraffatto alla vista di queste distruzioni.
Il testo è presente nel nostro sito, alla pagina in memoria di Mons. Ciccarelli.
Rileggiamolo ancora una volta, guardando queste foto, e restiamo in raccoglimento ad ascoltare le vibrazioni del nostro cuore.
Da parte nostra riprendiamo l'umile missione di semplici cronisti attirando la vostra attenzione su alcuni dettagli di entrambe le foto appena presentate: la strada appare ancora con la massicciata in
pietrisco e terra battuta, e le erbacce tendono ad espandersi sulla sede stradale. Il traffico automobilistico è completamente assente, e scarsissime sono le tracce lasciate nella massicciata; i due ragazzi si incamminano tranquillamente, mani in tasca, in direzione di Roccaraso. La linea di alimentazione elettrica, proveniente dalla cabina di trasformazione vicino alla dorsale appenninica a 380 kV che interseca la statale 85, è di appena due piccoli conduttori ancorati agli isolatori in steatite o vetro, fissati su svettanti pali in legno, evidenti in entrambe le immagini.
La roccia calcarea che costituisce l'ossatura principale delle abitazioni, si presenta annerita dalla normale aggressione atmosferica, oltre che ancora dal fumo del grande incendio del 1792. Cromatismo che caratterizzava non solo l'ambiente, ma anche e soprattutto l'animo straziato dei Rivisondolesi.
Ma ecco i segni della ripresa ... dissacranti le tracce evidenti lasciate dagli animali condotti al pascolo, e da quelli che trainavano i carretti ancora non numerosi ... sì, si tornava faticosamente alla vita ancorati alla scarna economia di montagna: la pastorizia e l'allevamento del bestiame.
Ed ecco sulla sinistra una fotografia scattata approssimativamente dalla medesima prospettiva di ripresa della precedente.
Evidentissime le volumetrie occupate dalle abitazioni in primo piano, svettanti di ben quattro piani dal livello stradale.
Analoga l'immagine delle case dislocate lungo la via, a salire verso il paese.
Cliccando qui con il mouse, o sulla foto medesima, il navigatore potrà effettuare un salto in avanti nel tempo, dischiudendo d'un sol colpo ai propri occhi la desolazione del vuoto creatosi dopo il brillamento delle mine tedesche.
E' andato così irrimediabilmente perduto una parte del patrimonio architettonico di Rivisondoli.
Ad una osservazione attenta risaltano
evidenti le sopraelevazioni realizzate sulle costruzioni in primo piano, originariamente sorte quali stalle per il bestiame. Le porte d'ingresso centrali sono infatti affiancate dai finestrini quadrotti, tipici dell'architettura rurale abruzzese, necessari per il ricambio d'aria delle stalle. La porte poi sono sormontate simmetricamente dalla grande apertura del fienile sovrastante (la cavuta), necessaria per la movimentazione del fieno e la ventilazione dell'ambiente. Al culmine poi i due piani d'abitazione, sino alle soffitte nei sottotetti. Sulle murature in pietra non intonacata, appaiono evidenti i fori ove, durante la costruzione, erano ancorati i pali dei ponteggi necessari ai muratori. Fori questi, che nel tempo diventavano ricovero dei piccioni.
E lassù in alto, svettante oltre il colmo del tetto della Chiesa di San Nicola, la sagoma inconfondibile della sopraelevazione della cella dell'orologio, sovrapposta all'originale campanile settecentesco.
Una cappa plumbea, tetra incombe sulle abitazioni riprese nella foto a lato, scattata nella medesima circostanza delle prime due. Le aperture di porte e finestre che risaltano sulle pareti degli edifici, sembrano quasi occhi sgranati, bocche esterrefatte nell'osservare tanta desolata distruzione. Siamo nel tratto meno scosceso della strada, che sale in paese, nel lungo percorso che sfocia poi nella via che seguendo la linea di livello proviene dall'antica Porta di Antonetta, sino a quello che all'epoca era l'edificio del teatro. Precede il teatro il Palazzo delle signorine Ferrara, che si staglia distintamente sulla destra dell'immagine, fiancheggiato dall'esteso orto, ove svetta ancora il rigoglioso e fronzuto noce. In questo tratto di strada sono completamente sparite tutte la abitazioni presenti sul lato destro, a salire. Le macerie, ancora a terra, si confondono con gli alti muraglioni di sostegno della sede stradale, ed i muretti |
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che delimitavano gli orti sottostanti. Il cuore e la mente non ci sostengono per poter descrivere compiuta,mente le sensazioni che proviamo nell'osservare queste immagini, nel comparare quello che Rivisondoli fu per lunghi anni prima dell'intervento delle forze amate tedesche, e quello che diventò dopo la metodica, scientifica belluina distruzione, fortunatamente solo parziale. Quest'ultima immagine di dettaglio ci aiuta ad interpretare meglio la panoramica della foto d'apertura, immediatamente rivisitabile cliccando qui. |
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L'immagine sulla sinistra, che abbiamo inserito nella pagina dedicata alla memoria di Mons. Ciccarelli, mostra una panoramica della distruzione determinata dagli esplosivi piazzati dai genieri dell'esercito tedesco alla base del campanile, ed in parte nell'adiacente palazzo di don Paolo Mascio. La foto fu scattata nell'estate inoltrata del 1945, quando l'area era stata parzialmente messa in sicurezza, le macerie quasi completamente rimosse, e le strutture della Chiesa Madre, dedicata a San Nicola, puntellate con le travature parzialmente visibili nella stessa foto. Anche le falde del tetto erano state nuovamente ricoperte dalle assi che sorreggevano le tegole. Tutto questo fu reso possibile dall'entusiastica partecipazione dei concittadini che rinforzarono le maestranze che sotto la guida dei mastri muratori Giuseppe MASCIO (PEPPE ru muratore) e Ruggiero BUONO completarono il lavoro prima del sopraggiungere dell'inverno del 1945. |
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Il palazzo di don Paolo Mascio ha perso gran parte del lato sud, per ben due piani, e questa gravissima ferita ne determinò di fatto la fine. Osservando questa foto, chi scrive queste note rileva con trepidazione il fumo che fuoriesce dal camino, parzialmente coperto dalle rovine del Palazzo Mascio. Si tratta del camino della casa paterna, casa ove egli stesso vedrà la luce, e dove in quel momento (fine primavera 1944) i propri cari attendevano con ansia notizie dei congiunti, prigionieri di guerra. Nelle foto di questa pagina riproponiamo le ferite inferte dalla stupida crudeltà umana nel tessuto urbanistico di Rivisondoli. Ben più impegnativo sarebbe mostrare le profonde lacerazioni che la guerra ha inciso nell'animo dei rivisondolesi, tutti, anche in coloro che per sopravvivere non rifiutarono compromesso alcuno, come delicatamente accenna Mons. Cicarelli in uno dei passi del suo manoscritto. |
Per rasserenare comunque lo spirito, vogliamo a questo punto presentare ai visitatori del sito l'immagine di come si presentava questo angolo di Rivisondoli prima delle distruzioni. Ricorriamo allora all'aiuto della foto sulla sx., presente nel volume edito nel 1912 dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo, e che Emidio AGOSTINONI dedicò agli Altipiani d'Abruzzo. Per rendere nella maniera più appropriata le sensazioni che stimolarono l'animo del viaggiatore, riproponiamo alcuni capoversi dedicati al nostro paese: " Il <<Piano>> - morbido tappeto verde fitto e rasato - congiunge Roccaraso a Rivisondoli. Questo paese, schierato ad anfiteatro sulle falde dell'aguzzo Monte Calvario, è sempre ebro del miglior sole di mezzogiorno. Ha la sola disgrazia di aver lontani alquanto i suoi boschi, ma nello stesso tempo ha il vantaggio di un territorio assai più vario per i diversi sports invernali che incominciano ad attecchirvi. Dalle sue ultime case si gode la vista di tre altipiani, e lo spettacolo dei più squisiti tramonti violacei. Non ha traccia di castello; il suo stemma comunale reca due putti dormienti in riva ad un ruscello, al rio del sonno, da cui forse Rigosonulo del 1185. Nel 1623 fu comprato da Fabrizio Meluccio per 1800 ducati e rivenduto per alquanto meno. Più tardi diventò baronia dei Sardi di Sulmona che ne conservano ancora il titolo. L'arte non vi ha capolavori, la bellezza è più che altro dovuta alla natura. Le architetture più notevoli sono il campanile della chiesa maggiore e la casa Mascio. Ma il campanile dritto e severo è turbato dalla vicinanza di una mediocrissima chiesa moderna, e la casa Mascio, settecentesca, con il suo simpatico balcone, è adulterata da qualche improvvido rifacimento. " Questi appena riportati costituiscono la quasi totalità dei paragrafi riguardanti Rivisondoli, d'altronde in linea con il numero delle pagine dedicate. Certamente l'autore restò stupefatto dallo spettacolare patrimonio urbanistico ed architettonico che caratterizza Pescocostanzo, grazie alla lungimiranza, al gusto ed al governo illuminato di Vittoria COLONNA. Identificò quindi le bellezze urbanistiche di Rivisondoli proprio nei due manufatti menzionati, opera di maestri muratori pescolani. Questa sensibilità artistica mostrata dall'Agostinoni ci consente oggi di conservare memoria di questo angolo settecentesco del nostro paese, ripreso in una delle rare immagini disponibili, e che costituiranno la struttura delle pagine che dedicheremo al patrimonio architettonico ed urbanistico rivisondolese. |
Le foto che abbiamo proposto alla attenzione dei navigatori del nostro sito, fanno parte della scarsa documentazione esistente sulle ferite che la guerra ha inferto al tessuto urbano di Rivisondoli. Le macerie visibili nelle immagini hanno costituito per anni il terreno di gioco di coloro i quali, negli anni a cavallo tra il 1945 ed il 1960, ancora adolescenti fantasticavano tra quei sassi tesori ancora nascosti. Invano i genitori cercavano di distogliere l'attenzione dei ragazzi dalle cantine del palazzo di don Paolo, "steteve attiente, loche ci sta ru lupe ... nen c'entrete .." Ma era proprio la curiosità nel ricercare il "lupo" che aumentava il fascino di quei ruderi .... e neanche le abbondanti "carezze" con l'ortica che cresceva rigogliosa tra i ruderi dietro il campanile, e che gli adulti, una volta scoperta la marachella dispensavano con abbondanza, distoglievano i più ardimentosi dalla successiva avventura. |
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Nostalgia del ricordo di un'età spensierata .... ben diversa dallo stato d'animo dei nostri compaesani adulti, presenti nella foto qua sopra. Sgomento, incredulità, sconcerto per l'incertezza del futuro, rassegnata sopportazione è quanto leggiamo sui volti dei compaesani le cui immagini sono rimaste cristallizzate nella foto appena mostrata, Questo scenario si presentò alla vista dei rivisondolesi che rientrarono dallo sfollamento a partire dal mese di giugno del 1944, quando l'esercito tedesco, ormai in ritirata, lasciò il nostro territorio. La vita tornava, seppure con fatica, pian piano alla normalità, cercando nei gesti usuali, nelle abitudini ataviche propulsione verso l'avvenire ... la piazza riprendeva il ruolo di centro d'aggregazione. nonostante le saracinesche del bar, tristemente ancora abbassate. Si restava allora al limitare della scalinata per la chiesa, intabarrati nei mantelli a ruota a seguire il percorso del sole di mezzogiorno, che intiepidiva quel tanto che bastava a risparmiare un po' di legna da ardere nel camino. All'epoca era ancora pericoloso avventurarsi, seppure al limitare dei boschi, a far incetta dei ceppi caduti dagli alberi. Le mine disseminate con maestria dai genieri della Wehrmacht fecero diverse vittime tra la popolazione civile, ed alcuni compaesani ne portano ancor oggi i segni nelle carni. Ma nonostante tutto la Vita riprese caparbiamente il sopravvento, ed a testimonianza di ciò desideriamo trasportarvi con un clic del mouse alla foto che riprendeva i bambini dell'asilo della classi 1946, 1947 e 1948, che numerosi furono immortalati proprio a fianco delle macerie, che nell'immagine riportata sopra, appaiono ancora disordinate lungo la scalinata che dalla piazza sale verso il Colle. |
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Desideriamo concludere questa pagina, dedicata alla "memoria" delle ferite inferte dalla seconda guerra mondiale al tessuto urbanistico del nostro paese, e non solo ad esso, letteralmente con una "nota di colore". Proponiamo alla vostra attenzione l'acquarello sulla sinistra, realizzato dalla giovane pittrice Nadia Lolletti, conterranea di Sulmona. La prospettiva è la medesima dell'ultima foto della sequenza precedente, ma la sapiente policromia utilizzata illumina la scena, riscattando l'esasperante grigiore della foto fissata 64 anni prima. La tenace caparbietà, il coraggio e la determinazione dei rivisondolesi hanno permesso all'artista di trasferire sul cartoncino "l'anima" odierna della nostra comunità, orgogliosa della rinascita dalle "macerie" della guerra, e protesa senza remore all'armonia di un equilibrato futuro, seppure non sempre facile da concretizzare. |
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Ad integrazione di quanto sin qui espresso, e per sottolineare l'inutile crudeltà della guerra, riportiamo una breve slide-show a testimonianza di quello che la Linea Gustav ha significato nella Storia dei nostri Altopiani |
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Collaboratori d'edizione: Cesidio S. & Rita D'A. ( Rivisondoli ); Chiara & Adriana G. ( Roma ). |